
È martedì grasso, l’ultimo giorno dedicato, per tradizione, ai festeggiamenti del Carnevale. Calato il sipario sulla festa più colorata dell’anno, quella in cui è lecito impazzire secondo un antico detto latino («semel in anno licet insanire») con il mercoledì delle ceneri comincia il periodo della Quaresima, i 40 giorni di digiuno e preghiera che portano alla Pasqua. Non bisogna segnarlo in rosso sul calendario, la ricorrenza scandita da maschere, carri e coriandoli è una data mobile, legata con un filo rosso alla Resurrezione.
Perché si chiama così?
Ma perché l’ultimo giorno di Carnevale si chiama martedì grasso? Il “motivo” è nascosto nel nome, grasso. Era l’ultimo giorno in cui erano concessi sfizi, soprattutto a tavola. Era permesso, insomma, mangiare quei cibi, come la carne, i dolci e tutti gli altri gustosissimi avanzi dei banchetti prima delle “restrizioni” imposte dalla Quaresima. Insomma, era un modo per concludere in bellezza la festa più goliardica dell’anno. Lo suggerisce anche Carnem levare, eliminare la carne, in latino, da cui deriva la parola Carnevale.
Nel Salento, la fine del Carnevale scandiva un’altra tradizione: quella della Caremma, la vecchietta vestita di nero che compare su terrazze e balconi. In molti comuni basta alzare lo sguardo per notarla, triste e malinconica, a ricordare a tutti che è tempo di penitenza e di sacrifici.
E di simboli questo pupazzo fatto di stracci e paglia ne ha parecchi. Nella mano sinistra ha un fuso e la conocchia a testimoniare la laboriosità e che la vita scorre velocemente, nella destra un’arancia amara, come la sofferenza, nella quale sono infilzate sette penne di gallina. Una per ogni settimana di astinenza che precede la Pasqua, giorno in cui il simulacro viene bruciato, come una sorta di rito di purificazione.