Non cercate intellettuali all’università (e nemmeno a scuola). Il punto di Enrico Mauro

Secondo Enrico Mauro, ricercatore di diritto amministrativo all’UniSalento non bisogna più cercare gli intellettuali all’Università.

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Qualcuno dice che gli intellettuali sono le candele dell’umanità. Qualcun altro dice che gli intellettuali sono coloro che dicono verità scomode ai potenti. Coloro, in altri termini, che hanno il coraggio di opporre il potere della verità alla verità del potere. E certo non sarebbe difficile allungare l’elenco delle definizioni.

Fatto sta che di intellettuali ci sarebbe bisogno più che mai ora che l’informatica ci rende disinformati per eccesso di informazione. Di intellettuali ci sarebbe bisogno più che mai ora che le scuole sono chiamate a non fare troppa scuola, ad alternare la scuola con la ‘preparazione’ al lavoro, cioè con una delle tante forme di lavoro non retribuito, dunque di non-lavoro, peggiore di altre forme perché imposta in un’età in cui si dovrebbero ancora acquisire conoscenze, ben più che competenze, si dovrebbe acquisire sapere, ben più che saper-fare (che cosa vuoi saper-fare, se prima non sai?!). Di intellettuali ci sarebbe bisogno più che mai ora che l’università è chiamata a concentrarsi sulla cosiddetta terza missione, che distoglie i ricercatori-docenti dalle prime due, cioè ricerca scientifica e insegnamento, per farne cercatori di fondi, non molto diversi, poi, dai cercatori d’oro della frontiera occidentale del Nuovo mondo.

Mi raccomando, però, non cercate intellettuali all’università (e nemmeno a scuola). Magari ne troverete qualcuno, nonostante tutto, ma non illudetevi che sia il posto giusto per cercarli. Cercateli, più realisticamente, tra i giornalisti, soprattutto d’inchiesta; cercateli tra i romanzieri, tra i poeti; cercateli ovunque la burocrazia meritocratica non sommerge il libero pensiero di scartoffie.

All’università no. Non che non vi sia in qualche misura diffusa l’aspirazione a fare gli intellettuali. Ma i ricercatori-docenti hanno altro da fare: hanno da pubblicare serialmente articoli da mandare al Grande Valutatore (ANVUR: Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca), il Grande Fratello della ricerca e dell’università in generale; hanno da compilare progetti che procurino loro i fondi che il Ministero non trova (e nemmeno cerca!); hanno da compilare registri, rapporti, bacheche, moduli di ogni tipo.

No, all’università decisamente no. I ricercatori-docenti non hanno più tempo per leggere,  figuriamoci se ne hanno per pensare o, addirittura, per condurre battaglie culturali o sociali slegate dagli infiniti, stupidissimi adempimenti burocratici in cui galleggiano con l’acqua alla gola.

Essere intellettuali all’università significherebbe andare contro il sistema, contro tutto e tutti.
Significherebbe protestare, non piegarsi alla servitù volontaria che il sistema è progettato per produrre. Significherebbe indurre gli studenti a non considerare l’allineamento un valore. Significherebbe partecipare non da spettatori a quello che succede fuori dalle pareti universitarie, dove dei riti accademici, dei riti meritocratico-‘valutativi’ in particolare, non si sa nulla, e non interessa nulla.

No, l’università trabocca di ottimi ricercatori e di ottimi docenti, che però non possono riuscire a fare di più. Perché il sistema è stato progettato per dirottare tutto il loro tempo e le loro energie verso gare di produttività, verso scalate a classifiche di efficienza che poco hanno da spartire con l’elaborazione e la diffusione della conoscenza.

Gare e classifiche che certo non lasceranno a chi verrà dopo di noi un Paese più istruito, più consapevole, più responsabile, più democratico. Lasceranno solo un deserto di ignoranza punteggiato da cinque o dieci oasi di ignorante eccellenza.

di Enrico Mauro, ricercatore di diritto amministrativo all’Università del Salento



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