‘Chiedo giustizia per mio figlio, voglio sapere perchè è morto’, il racconto di una mamma che non si rassegna

La storia di oggi è quella di una mamma che vuole sapere perchè suo figlio, malato di distrofia muscolare, è stato portato vivo in ospedale ed è morto senza un motivo che sembri plausibile

Anna (nome di fantasia) non si rassegna e chiede giustizia. Giustizia per sè e per suo figlio Daniele (nome di fantasia anche questo) che non c’è più. Adesso l’ingiustizia si è aggiunta nell’elenco delle sue nemiche di vita e occupa il secondo posto, perchè al primo c’è sempre e sempre ci sarà la distrofia muscolare, la nemica storica con cui ha dovuto combattere attraverso il corpo di due figli che non ci sono più. E’ cosa che consuma l’anima perdere lentamente due figli per una malattia perfida, che fa degenerare il corpo attaccando i muscoli e compromettendo la mobilità, la respirazione, la funzionalità del cuore. Anna li ha persi a distanza di sette anni l’uno dall’altro, quando erano giunti alla soglia dei 30anni, quando ormai erano uomini. Ma mentre accetta la morte del più grande come un ineluttabile flagello del destino, non si rassegna alla perdita di Daniele, il più piccolo, convinta com’è che più che la ‘matrigna’ Natura suo figlio gliel’abbia strappato, prima del tempo, la malasanità.

Le indagini della Magistratura sono in corso in questi mesi e a nessuno, tanto meno a noi, è dato propendere per una ipotesi piuttosto che per un’altra. Ma il racconto di questa mamma non può restare silenziato, rinchiuso tra i muri di casa, quasi a sbattere contro l’indifferenza. E’ bene che la Giustizia faccia la sua strada (per questo abbiamo scelto l’utilizzo di nomi di fantasia, anche se Anna vorrebbe gridare al mondo ogni cosa con dovizia di particolari); ma è bene anche che il dolore trovi uno specchio in cui guardarsi, è necessario ascoltare la sua voce, il suo racconto.

“Quando mio figlio si è sentito male, ho chiamato subito i soccorsi. Il 118 lo ha portato in un’ospedale della nostra provincia ma non c’era la Tac. Da lì è stato subito condotto in un’altro nosocomio dove era inagibile la Rianimazione. Mio figlio l’ho rivisto soltanto quando era morto. Non so se è deceduto durante la Tac, non so il perchè. Mi dicono che ha avuto un arresto cardiaco prima. Ma io non ci credo, non ci credo. Io voglio giustizia!”.

Il suo racconto – o magari la sua versione dei fatti – è un continuo riannodare il filo, un continuo riavvolgere il film. Anna arriva a chiedersi perfino quali siano le sue colpe, dove abbia sbagliato, perchè non abbia chiesto immediatamente l’autopsia sul corpo di quel giovane che era suo figlio. Non ce la fa più ad aspettare la conclusione delle indagini. Si sente abbandonata, dimenticata. Quasi che qualcuno le volesse dire: ‘Tanto Daniele stava male, prima o poi sarebbe successa la tragedia…Perchè indagare, perchè approfondire, perchè non rassegnarsi?’. Ma lei non ce la fa a rassegnarsi, a fare finta di nulla, dopo una vita in cui dolore e amore sono stati intrecciati a doppio filo. Sempre.

Il suo racconto forse non cambierà il corso degli eventi, ma è giusto che si sappia che Anna non è un fantasma, che Anna non deve avere paura, che Anna ha diritto di sapere. Ogni giorno attende che le venga comunicata la conclusione delle indagini. Ogni giorno è un giorno buono per capire, per sapere. La sua testimonianza è un modo per non farla sentire sola, per dirle che a volerne sapere di più siamo in tanti, siamo tutti.