Una democrazia greenpassata, l’editoriale di Alessandro Macchia

Da oggi è obbligatorio presentare il green pass sul luogo di lavoro. Una riflessione di Alessandro Macchia sul malcontento di alcune categorie di lavoratori.

Pavel Florenskij raccontava di una passeggiata per un bosco in compagnia di un bambino. Il piccolo osservò che il luogo era pieno di zanzare. Il teologo domandò come mai non si riuscisse a vederle, e il bambino con prontezza rispose: «Perché son troppo piccole». I due continuarono il loro silenzioso cammino, fin quando il fanciullo non prese a dire che quel luogo era pieno di leoni. Florenskij ripeté la stessa domanda: «E come mai non li vediamo?» E il bambino rispose: «Perché son troppo grandi.»

È un aneddoto che potrebbe esser preso a esemplificazione dell’incapacità degli intellettuali italiani di cogliere sia i tanti occultati individuali dolori degli offesi da vaccino sia la tragicamente grande deriva della nostra democrazia.

I reciproci addebiti di modi operativi di stampo fascista (da un lato l’establishment che accusa indiscriminatamente il movimento NoGreenPass per l’attacco alla CGIL e dall’altro i NoGreenPass che pongono analogie fra il certificato verde e la tessera del Ventennio) implicano un trinceramento nella Storia, nei fatti del passato, che porta a una visione distorta dell’attualità, a una parzialità di lettura che non può che far bene al solo despota: il Vace, alla sua destra il figliuolo e alla sinistra il farmaco santo, persevererà indisturbato, sapendo il popolo imbrodolato nella retorica della memoria e inconsciamente proteso all’autoinganno di ripetere attraverso la propria pelle quelle precise antiche giuste lotte di liberazione.

Qualcuno sosteneva che nell’era tecnocratica i totalitarismi non avrebbero avuto bisogno di tagliare le teste: sarebbe bastato renderle superflue. Del resto, non si può non convenire che i fatti, quelli belli e quelli brutti, non si ripetono mai in egual modo. Il problema è tuttavia nello stesso impiego del giudizio di totalitarismo, dagli intellettuali deriso nei termini dell’enormità. Ma allora partiamo dallo sfacciato ricatto di Stato.

Abbiamo due modi di vedere le cose. O diciamo che il greenpass è lo strumento per spingere le persone a vaccinarsi oppure vediamo il vaccino, con Agamben fra gli altri, quale strumentale alla fraudolenta affermazione del greenpass: il famigerato QR Code per un controllo capillare della società. Quale sia la giusta lettura è difficile a dirsi. Il governo più cattivo della storia repubblicana ha mischiato con maestria le carte. Ma forse il doppio fuoco non sarebbe da escludere.

Con ciò, il problema è altro: come è stato possibile, cioè, che venissero attuati decreti che, a detta di molti uomini di legge, non sono contrastabili con nessuno strumento giuridico? Si può forse affrontare la questione rileggendo con accuratezza il famoso art. 32 della Costituzione. Vi si parla di diritti dell’individuo e di rispetto della persona umana.

L’accostamento non mediato delle due espressioni avrebbe con molta probabilità fatto trasalire uno dei grandi propugnatori dell’Unione Europea: quel Denis de Rougement che aveva presieduto nel ’52 la prima Tavola Rotonda del Consiglio Europeo, lo stesso che aveva paventato il rischio di un’Europa guidata da oligarchie finanziarie. Per Rougement “individuo” e “persona” si escludono a vicenda. Non si tratta di una sottigliezza filosofica, bensì della ricerca di una più giusta definizione dell’uomo in un mondo che, uscito dai feroci processi di massificazione dei totalitarismi del primo Novecento, si lanciava a tutta velocità nel sistema della tecnica tronfia e trionfante. Per noi è assodato che i Padri della Costituzione intendessero la parola “individuo” nel senso più generico e meno ideologicamente interessato. Ma va da sé che nella genericità di quel termine sia implicito il pericolo della mistificazione stessa di quel dettato. Attraverso quella discriminante Rougement esprimeva il timore che i diritti della persona umana venissero precisamente identificati e confusi coi diritti civili: ammoniva sul rischio che, negando la precedenza dei primi sui secondi, l’essere umano fosse declassato a semplice cittadino. In questa situazione i diritti naturali perdono di oggettività e vengono sostituiti dai diritti civili che gli esecutivi di volta in volta in carica elaborano e deliberano di concedere o meno. È per via di questa progressiva degenerazione in seno alla democrazia che il ministro Speranza e i portavoce di governo difendono il greenpass quale strumento di libertà.

È invero logico dagli accomodamenti del governo medesimo che la libertà si presenti in tal modo come un diritto concesso, soggettivo e negoziabile. La prova ultima in ordine di tempo è nella promessa della gratuità del tampone ai soli portuali triestini per scongiurare lo sciopero. Ma se un qualsivoglia obbligo è esposto a negoziazione, allora cessano d’essere le ragioni della necessità prima: si veda pure la reintegrazione dei sanitari veneti non vaccinati per mancanza di personale.

Di fronte a tanto, rifiutando accomodamenti ad utilitatem ipsorum, gli operatori portuali hanno rivelato una maturità democratica di cui la classe intellettuale si mostra deficitaria: nel gran rifiuto triestino è scritto che in democrazia la legge e i diritti sono ancora uguali per tutti. Ma dicevamo che qualsiasi lettura si voglia dare, venga per ultimo il greenpass o il vaccino, resta ineludibile che l’operazione in corso realizza quella colonizzazione del corpo da parte del potere che Pasolini per primo aveva presagito. È fin troppo facile constatare che si tratta della tappa estrema del processo di mercificazione del corpo: è l’individuo ridotto a pura statistica, ora rientrante nelle percentuali dei malati di Covid ora nelle percentuali dei vaccinati e non vaccinati. In ballo, avrebbe detto ancora Rougement, non è più la persona in carne e sangue. È perciò un governo cattivo e ha tutte le potenzialità per testare il terreno in vista di espressioni di totalitarismo sovranazionale, nuove ma ancor più subdole, in quanto volte a estromettere la qualità della persona.

Attraverso lo scatenamento dell’ipocondria collettiva ha isolato gli uomini, li ha reclusi nei propri egoismi, li ha privati del loro fondamento comunitario. Si proclama la solidarietà sociale, il rispetto della salute del prossimo, ma, fuori delle menzogne del governo, non ritroveremo più una società giusta se la tolleranza non sarà prima d’ogni cosa intesa come atto, impegno e presenza: cose troppo grandi perché gli intellettuali di oggi siano in grado di vederle.



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