Sovraffollamento e mancanza di riscaldamento nelle carceri, riduzione della pena per un detenuto

Il reclamo del detenuto assistito dall’Avv. Sergio Sperti è stato accolto nell’ Ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Pavia.

Il sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani è stato più volte nell’occhio del ciclone. Con la sentenza pilota dell’8.01.2013 “Torreggiani c. Italia”, la Corte Europea dei Diritti Umani, rilevata la violazione dell’art. 3 Cedu da parte dell’Italia, ha condannato l’Italia a causa del grave sovraffollamento delle carceri italiane. Ciò che si stigmatizzava erano i trattamenti inumani e degradanti patiti dai detenuti in alcuni istituti italiani, reclusi in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione.

L’ insegnamento della Corte di Strasburgo è quello che il periodo detentivo non annulla per il detenuto i diritti sanciti dalla Convenzione, anzi gli stessi dovrebbero essere maggiormente attenzionati, proprio perché trattandosi di persone vulnerabili avrebbero bisogno di maggiore tutela. Ecco che l’art. 3 CEDU pone a carico dell’autorità un obbligo positivo nell’assicurare che ogni detenuto possa godere all’interno della struttura carceraria di condizioni compatibili e nel rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della pena non sottopongano l’interessato ad uno stato di sconforto assicurando la salute ed il benessere del soggetto rinchiuso.

Stante i diversi casi verificatisi, vennero introdotti nel nostro ordinamento giuridico, nello specifico nell’ordinamento penitenziario l’art. 35 bis e 35 ter che consentono al detenuto di essere sottratto con celerità da uno status di palese violazione del suo fondamentale diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti, ed al contempo a fargli conseguire un risarcimento per la violazione patita. In questi casi ci si rivolge al Magistrato di Sorveglianza al fine di ottenere l’immediato ripristino della legalità ed ottenere una riduzione della pena nella misura di 1 giorno per ogni 10 giorni di pregiudizio subito, ovvero in via subordinata, un risarcimento in forma monetaria nella misura di otto euro per ogni giorno di pregiudizio subito.

La Convenzione Cedu

La disposizione del legislatore nazionale si adegua ai principi normativi della Convenzione CEDU e alle pronunce della Corte di Strasburgo, dandone per certo il valore vincolante nel sistema delle fonti definito dall’art. 117 della Costituzione riconoscendo il ruolo della Corte CEDU nell’applicazione ed interpretazione di tale normativa ai sensi dell’art. 32 della Convenzione.

Il 20 ottobre 2016 la Grande Camera della CEDU ha affermato che:

  • quando lo spazio all’interno della cella collettiva scende sotto i 3 mq, la mancanza di spazio è considerata talmente grave che sussiste una “strong presumption” di violazione dell’art. 3 Cedu che l’amministrazione ha l’onere di confutare, dimostrando l’esistenza di fattori che cumulativamente siano in grado di compensare tale mancanza di spazio vitale quali la brevità e l’occasionalità della riduzione dello spazio personale minimo richiesto, la sufficiente libertà di movimento e lo svolgimento di adeguate attività all’esterno della cella, l’adeguatezza della struttura, in assenza di altri aspetti che aggravino le condizioni di privazione delle libertà;
  • quando lo spazio individuale in una cella collettiva si attesta tra i 3 e i 4 mq, sussiste una violazione dell’art. 3 Cedu se tale condizione risulta combinata ad altri aspetti di inadeguatezza della detenzione. Tali aspetti riguardano la possibilità di svolgere attività fisica all’aria aperta, la presenza di luce naturale e aria nella cella, l’adeguatezza della ventilazione e della temperatura, la possibilità di utilizzare la toilette in privato ed il rispetto dei generali requisiti igienico – sanitari;
  • nei casi in cui un detenuto disponga di più di 4 mq in una cella collettiva e quindi non si pongano problemi per quanto riguarda la mancanza di spazio personale, rimangano comunque rilevanti altri aspetti riguardanti le condizioni di detenzione ai fini della valutazione di conformità all’art. 3 della Convenzione.

Sotto tale profilo, la Corte CEDU afferma che il calcolo della superficie disponibile nella cella deve includere lo spazio occupato dai mobili nonché afferma l’importanza di determinare se i detenuti hanno la possibilità di muoversi normalmente nella cella, rimanendo escluso lo spazio occupato dal bagno. In merito alla detraibilità o meno della superficie occupata dagli arredi fissi e dai letti è intervenuta la pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte (n. 6551/2021 CC del 24.09.2020) dove si è affermato che “Nella valutazione dello spazio minimo di tre metri quadri si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra i quali rientrano i letti a castello”.

L’Ordinanza del Magistrato di Sorveglianza

In qualità di avvocato, mi è capitato di assistere detenuti che a seguito di reclamo al Magistrato di Sorveglianza sono riusciti ad ottenere il dovuto ristoro, quale effetto della presentazione di un reclamo all’autorità giudiziaria, per denunciare una lunga detenzione vissuta in condizioni inumane e degradanti, all’interno di varie strutture carcerarie.

Non ultima l’Ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Pavia del 26 gennaio 2023, dove il Giudice ha accolto il reclamo in favore del mio assistito, originario dell’estremo Sud Italia, accertando la violazione di 775 giorni di violazione dei diritti umani ex dell’art. 3 CEDU, con riduzione della pena (in un rapporto di 1 giorno ogni 10 giorni di accertata detenzione) di giorni 77, per essere stato detenuto presso il Carcere di Agrigento in una cella priva del riscaldamento nei periodi invernali per 223 giorni nonché per essere stato detenuto presso il Carcere di Reggio Calabria dove veniva accertata la detenzione in una cella con altre 3 persone, la cui superficie disponibile al netto dei letti, degli arredi e del bagno risultava inferiore a 3 mq; con riferimento ad un altro periodo detentivo sempre nellostesso istituto penitenziario lo stesso mio cliente veniva ristretto con altre 5 oppure 8 persone in una cella da 17,60 mq, la quale al netto dei letti (5,16 mq) e degli armadietti, risultava abbondantemente sotto i 3 mq, anzi era vicina ai 2 mq, il tutto in violazione dell’art. 3 CEDU.

Il Magistrato di Sorveglianza di Pavia non ha inoltre accolto inoltre la tesi dell’Amministrazione Penitenziaria sulla prescrizione della pretesa azionata dal condannato con riferimento ad una lesione eventualmente patita 5 anni prima della data di presentazione dell’istanza, atteso che l’art. 35 Ter O.P. ha introdotto un rimedio penalistico avulso dall’istituto della prescrizione e comunque ben distinto dall’azione di risarcimento danni di matrice civilistica, applicando oltremodo il criterio della non contestazione, sperimentato in sede europea, per cui vanno accolti i reclami dei condannati nei casi in cui l’Istituto di pena in cui il soggetto è recluso, non è in grado di riscontrare e replicare alle allegazioni dell’interessato o comunque non risponde alle richieste istruttorie d’ufficio; pertanto ciò che l’amministrazione non contesta al condannato in relazione a quanto lo stesso asserisce, deve ritenersi provato, questo è quanto afferma il Magistrato di Sorveglianza di Pavia, che rende giustizia rispetto a quanto denunciato negli atti di causa.