Il ragazzo del Bangladesh che vendeva pinguini sulla spiaggia. La storia di Marco e della solidarietà silenziosa e contagiosa

La storia che stiamo per raccontarvi è la storia di Marco ed è una di quelle che toccano il cuore perchè fanno capire che la solidarietà è contagiosa ed ha la forza di una valanga.

E’ un ragazzino gracile quello che in un giorno d’agosto di tre anni fa tira sul bagnasciuga di una spiaggia assolata del Salento una lunga scia di pinguini gonfiabili tenuti legati da un filo bianco. Eppure chi vede oggi Marco chiacchierare amabilmente in classe con i suoi compagni, ridere, scherzare, scambiare appunti e informazioni stenta a riconoscere in lui quel 13enne che in riva allo Jonio aiutava il suo papà, ambulante del Bangladesh, a portare a casa la giornata. Le traiettorie del destino sono incomprensibili agli umani, perché mai nessuno avrebbe potuto immaginare che quella mattina, proprio quella mattina, sarebbe cambiata la sua vita e anche quella di chi da quel momento lo aveva incontrato.

La storia che stiamo per raccontarvi è la storia di Marco (nome rigorosamente di fantasia) ed è una di quelle che toccano il cuore perché fanno capire che la solidarietà è contagiosa ed ha la forza di una valanga che quando inizia a rotolare riesce a trascinare tutto con sé. E’ una storia che vogliamo raccontare malgrado la ritrosia di chi ha reso possibile ciò che sembrava impossibile, con discrezione e umiltà. Che poi sono i tratti distintivi della grandezza d’anima. E’ una storia che dobbiamo raccontare perché qui le parole non sono bandiere da sventolare ma pietre che lastricano il selciato che porta alla conoscenza del prossimo, all’umana curiosità verso il prossimo,  perchè interessarsi agli altri è un bel dovere.

Marco tre anni fa aveva solo 13 anni. La sua estate la trascorreva aiutando il padre, un ambulante del Bangladesh, a vendere su una spiaggia del Salento i famosi pinguini gonfiabili. Li trascinava dietro di sé tenendoli insieme con un lungo filo bianco tra gli sguardi di tanti bambini che spesso chiedevano ai loro genitori di comprarne uno. Padre e figlio si dividevano l’arco di sabbia, partendo dai capi opposti e incrociandosi al centro. Poi, come due sentinelle nel turno di guardia, riprendevano il cammino in direzione contraria. E così per l’intera giornata.

E’ stato lì che l’ha notato una professoressa di una scuola leccese, rimasta colpita dal fisico gracilino del ragazzo e dalla sua tenace volontà. Marco non si fermava mai, nemmeno quando, in giorni torridi, sarebbe stato normale rallentare il passo, fermarsi a riva e magari fare un bagno come tutti i suoi coetani presenti sul posto. Spinta da un impulso materno si è avvicinata a Marco, gli ha chiesto se volesse dell’acqua fresca, ha provato ad instaurare un dialogo anche se era quasi impossibile capirsi. Marco non parlava una parola di italiano, ma a volte il linguaggio dei segni è più efficace.

Quando il padre lo ha raggiunto è rimasto contento del fatto che il figlio stesse scambiando qualche chiacchiera con le persone del posto. Dal dialogo che ne è scaturito si è capito che Marco non stava frequentando alcun istituto scolastico. Non conosceva la lingua italiana e la pandemia non aveva di certo facilitato l’inclusione.

E’ qui che la prof tira fuori dal suo armamentario la vocazione pedagogica. ‘Mi interesso io, vediamo cosa possiamo fare‘. Scambiarsi i numeri di telefono è un attimo. L’anno successivo, però, è quello in cui tutte le scuole si organizzano con la didattica a distanza, la famosa dad. Marco non ha gli strumenti per poterla affrontare. Bisogna aspettare.

Viene iscritto all’Iis ‘Antonietta De Pace’ di Lecce, ha compiuto 14 anni. Il suo inserimento non è facile, i problemi di lingua persistono, ma allo sguardo attento e amorevole dei docenti trapela un deficit della vista del ragazzo. Marco non vedeva bene. ‘La sua non era disattenzione o disinteresse. Lui proprio non riusciva a vedere bene‘. E così comincia la storia, la bella storia.

Perchè i professori non si fermano ad una constatazione da rimandare indietro al nucleo familiare. I docenti si interessano a lui, inizia una vera e propria gara di solidarietà che coinvolge tutti. Lo portano alla Asl, gli fanno assegnare un medico di medicina generale e lo fanno visitare. Il medico di famiglia appena lo esamina  conferma l’impressione dei docenti. Marco ha un problema agli occhi dovuto ad una rottura traumatica del cristallino. L’impianto che gli è stato fatto nel suo Paese d’origine è sbagliato perchè è diventato troppo piccolo rispetto all’occhio che si ingrandisce. Tra l’altro è subentrata anche un’infezione, bisogna fare presto!

Sono i professori, ed uno in particolare (un angelo custode, insomma!), a prendersi cura di lui: i genitori non possono farlo, non saprebbero come muoversi. Lo accompagnano al Miulli di Acquaviva delle Fonti dove viene visitato gratuitamente e poi operato dal prof. Micelli Ferrari che si appassiona alla storia di Marco. Lo opera una prima volta, poi una seconda. Marco per strofinarsi con forza l’occhio si procura il distacco della retina. Quindi ecco che è necessario un terzo intervento. Sono sempre i docenti, con l’ok della famiglia, a portarlo al Miulli, a comprargli farmaci e colliri, occhiali da vista e occhiali da sole. Sono sempre i docenti ad accompagnarlo in ogni suo miglioramento. Si danno da fare anche per trovare una casa alla sua famiglia nei pressi della scuola.

Fino a che non si arriva all’oggi. Fino a che non si arriva a Marco che è perfettamente guarito. Vede benissimo, frequenta assiduamente la scuola, sta imparando l’italiano, socializza con tutta la classe al punto da esserne diventato il beniamino.

E’ stata un’autentica gara di solidarietà, una gara di quelle in cui partono in pochi e poi in tanti, tantissimi si aggiungono. Nel silenzio, nella discrezione. E chissà perchè ci piace pensare che ce ne siano tante altre di storie così, di storie da cercare e da raccontare. Non per la retorica della bella notizia ma per il gusto della vita vera.



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