Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi: 17 morti, nessun colpevole

Poco dopo 16.30, nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano, una bomba esplose nel salone centrale, gremito di clienti, impiegati e funzionari. La conta dei morti si ferma a 17, 88 i feriti. Era il 12 dicembre 1969

Il 12 dicembre 1969 cominciò ad essere scritta una delle pagine più tristi e buie dell’Italia, consegnata alla storia come gli anni della “strategia della tensione”. Un episodio in particolare segna una linea di confine tra passato e futuro: la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, a Milano. Sette chili di gelignite, un esplosivo con una potenza superiore alla dinamite, piazzati nel salone centrale dell’istituto di credito provocarono la morte di 17 persone ed il ferimento di altre 88.

Fu solo l’inizio di una serie di stragi impunite o addirittura negate. Un elenco lunghissimo di sangue, misteri e depistaggi: Treno Italicus, 4 agosto 1974: 12 morti, 105 feriti; piazza della Loggia a Brescia, 28 maggio 1974: 8 morti, 102 feriti; Ustica, 27 giugno 1980: 81 morti; Bologna, 2 agosto 1980: 85 morti, 200 feriti; bomba al Rapido 904 alla vigilia di Natale del 1984, 15 morti e 267 feriti. Solo per citarne alcuni.

Dieci lunghissimi anni di processi, depistaggi, fughe all’estero e latitanze, condanne e assoluzioni non sono bastati a far luce sui molti buchi neri lasciati nella ricostruzione di quanto accaduto quel giorno. Buchi come il cratere di oltre mezzo metro “scavato” nel pavimento della Banca ed immortalato in una fotografia diventata quasi un’icona della storia, un simbolo a futura memoria. La verità era ed è ancora molto lontana.

La strage di piazza fontana

Milano, le lancette della storia si fermano alle 16.37 di un freddo venerdì come tanti. Fuori piove e c’è nebbia. Nel salone degli sportelli della Banca nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana esplode una bomba contenuta in una borsa di similpelle nera nascosta sotto il tavolo al centro dell’atrio dove si svolgono le contrattazioni. La banca era piena di clienti e il bilancio delle vittime fu tragico: 14 persone sono morte sul colpo, altre due in ospedale. Un’altra, la diciassettesima, si spegnerà un anno dopo, per una polmonite aggravata dalle lesioni riportate durante l’attentato. Un numero impressionante di feriti. Il silenzio piombato dopo il boato fu interroto solo dai lamenti di chi era sopravvissuto.

Una strage, come racconteranno i soccorritori giunti sul posto poco dopo. «Sono sotto choc – scrive Pasolini – è giunto fino a Patmos sentore /di ciò che annusano i cappellani / i morti erano tutti dai cinquanta ai settanta / la mia età fra pochi anni» prima di evocare una per una, in versi dolenti e prolungati, quelle vittime anziane e innocenti.

Quella di piazza Fontana non era l’unica bomba piazzata quel giorno. Un’altra venne ritrovata nella sede della Banca commerciale italiana a piazza della Scala, poco distante. Un commesso aveva notato la borsa nera abbandonata vicino ad un ascensore e pensando ad un cliente distratto l’aveva aperta insieme ad altri colleghi. Dentro una cassetta metallica, una bustina rettangolare di plastica e un dischetto nero, graduato da 0 a 60. Nient’altro. L’ordigno fu fatto brillare alle 21.30 dagli artificieri della polizia. Distrutto insieme alla firma dell’attentatore, forse. Fu il primo dei tanti misteri di quel giorno maledetto.

Non solo. Nella capitale altri tre ordigni esplosero più o meno alla stessa ora: uno in un corridoio sotterraneo della Banca nazionale del lavoro in via Veneto. Gli altri all’Altare della Patria, in piazza Venezia e sui gradini del Museo del Risorgimento. 17 feriti in tutto. Cinque attentati nell’arco di 53 minuti.  Nessuna rivendicazione.

La morte di Giuseppe Pinelli

Al telegiornale del 16 dicembre, quattro giorni dopo, Bruno Vespa annunciò che il colpevole era l’anarchico Pietro Valpreda. Ad incastrarlo, la testimonianza di un tassista che aveva raccontato di averlo accompagnato a Piazza Fontana il pomeriggio della strage: “Si è diretto con una borsa verso la Banca dell’Agricoltura, quando è tornato dopo pochi attimi, non aveva più la valigetta…“.

L’autore di quella sanguinosa strage aveva un nome ed un cognome. Eppure di sue responsabilità, oltre alla testimonianza del tassista, non si trovò mai alcuna traccia. Poche ore prima, era morto cadendo dal quarto piano della questura in via Fatebenefratelli il ferroviere Giuseppe Pinelli.  L’uomo era stato prelevato circa un’ora e mezza dopo l’esplosione da una vettura civetta della Squadra politica della Questura di Milano12, con a bordo il giovane commissario Luigi Calabresi, dalla sede del circolo “Ponte della Ghisolfa”. Perché quella era la pista seguita.

Nomi e misteri che si sono intrecciati inevitabilmente ai fatti del 12 dicembre.  Lo stesso Calabresi venne ucciso sotto casa, sempre a Milano, in via Cherubini il 17 maggio del ’72.

Per la giustizia non c’è un colpevole

Il resto è storia più o meno nota: continue scoperte e depistaggi che hanno reso quasi impossibile  ricostruire la verità dei fatti, processi trasferiti da una città all’altra, condanne, assoluzioni. Troppo tardi per fare giustizia.

Cinquanta anni dopo da quella che venne chiamata la “madre di tutte le stragi” resta il vuoto, il peso di un epilogo altrettanto tagico. Dopo mezzo secolo per la giustizia non c’è “nessun colpevole”. Quella bomba, in piazza Fontana, non l’ha messa nessuno.