La notte che cambiò Perugia: l’omicidio di Meredith Kercher

La tragedia di Meredith Kercher a Perugia resta un mistero avvolto da dolore e dubbi, un omicidio rimasto senza risposta

Nel «delitto di Perugia» si sono sempre intrecciati due filoni: quello giudiziario e quello mediatico. E sebbene entrambi, in modo diverso, abbiano cercato di ricostruire con esattezza cosa accadde quella notte nella villetta di via della Pergola nel cuore della cittadina umbra, resta ancora un compito complesso stabilire quale sia la verità sull’omicidio di Meredith Kercher, la studentessa inglese che in Italia ha trovato la morte. Il corpo senza vita della ragazza, n Italia per il progetto Erasmus, fu ritrovato nella notte del 1° novembre sul pavimento della camera da letto dell’appartamento che Mez aveva scelto per la sua posizione, vicina all’università per Stranieri e per il panorama, un tipico paesaggio dell’Umbria che poteva ammirare dalla sua finestra.

Quella notte dopo Halloween, la bellissima città umbra, una cartolina disegnata dai colori dell’autunno, con le sue strade illuminate dai colori caldi e dal silenzio interrotto, improvvisamente, da una tragedia.

La notte che cambiò tutto

Meredith era stata coperta con una una trapunta che lasciava vedere soltanto “una porzione del capo sporca di sangue ed il piede sinistro che fuoriusciva dal bordo inferiore”. Chi l’aveva uccisa, probabilmente, l’aveva afferrata al collo per intimorirla, convincerla a non opporre resistenza. Le aveva chiuso il naso e la bocca per non farla gridare e l’aveva pugnalata. Una sofferenza durata, stando a quanto ipotizzato, quindici minuti. Momenti in cui Mez ha provato a reagire perché il primo colpo non è mortale. Solo dopo la rottura dell’osso ioide non può più parlare, non può più gridare, non respira più e cade… L’aggressore sarebbe passato dal tentativo di violenza, come dimostra il reggiseno tagliato, all’omicidio, avvenuto quando la studentessa erà già a terra.

Sotto i rilettori (e non è una metafora) finiscono Amanda Knox, la bella coinquilina della vittima e il suo fidanzato Raffaele Sollecito. Sono stati loro a chiedere aiuto alle Forse dell’Ordine e mentre gli uomini in divisa si accertano di quanto accaduto loro si stringono. Resta impressa quell’immagine immortalata dalle telecamere: lei con gli occhi bassi e lucidi, lui che le sfiora le labbra con un bacio lieve. Amanda e Raffaele. Si abbracciano, a pochi passi dal silenzio terribile che ha lasciato una vita spezzata. I ‘Giulietta e Romeo dell’orrore’ diventeranno i principali sospettati insieme a Rudi Guede che, finito sotto processo, sceglie il rito abbreviato. Verrà condannato con una sentenza che riconosce le ‘clamorose défaillances e colpevoli omissioni’ di una inchiesta condotta con ‘deprecabile pressappochismo’.

Anche le prove contro i due ex fidanzati sembrano granitiche. I due ragazzi vengono condannati in primo grado, assolti in appello per non avere commesso il fatto, ma a sorpresa, la Cassazione annulla il verdetto. Si torna in aula con il processo di appello bis che conferma la condanna. “Innocentisti” e “colpevolisti” continuano a discutere, ma le aule giudiziarie sono un’altra cosa. L’ultima parola la scrive la Cassazione: Amanda e Raffaele sono innocenti. La mancanza di prove certe e la presenza di numerosi errori nelle indagini sono stati determinanti, ma fondamentale è stata la mancanza di prove. Nella stanza dove Meredith Kercher fu uccisa non è stato trovato nulla di Knox e Sollecito. Gli elementi che dovrebbero incastrarli – un coltello ed un gancetto di reggiseno – sono scientificamente privi di valore.

I dubbi

Manca l’elemento chiave, la prova schiacciante che avrebbe reso tutto diverso. Non c’è l’arma del delitto, non c’è un movente che spieghi il perché una giovane ragazza sia stata uccisa così brutalmente, non c’è una ricostruzione logica dei fatti. Siamo di fronte ad un «delitto perfetto», di quelli che piacciono all’opinione pubblica, destinati a riempire le prime pagine dei giornali. Questo è il punto. Nell’omicidio di Meredith Kercher, e non solo in quello, resterà la sensazione che qualcosa sia sfuggito, che qualcosa non sia stato risolto, che qualcosa ancora ci separi dalla verità. E senza verità anche la giustizia è una giustizia «a metà».

Il caso, purtroppo, è diventato uno dei tanti misteri irrisolto. Come il delitto di Cogne, dell’Olgiata, di via Poma, di Avetrana. Omicidi che in comune, oltre all’attenzione mediatica, hanno anche l’«ossessione» per i protagonisti, indagati in cerca di dettagli, particolari, movenze.

Ci saranno sempre tre Amanda Knox“, aveva titolato il Time pochi giorni prima del processo d’appello di Perugia. Tante quanti sono i paesi coinvolti (Usa, Regno Unito e Italia). Ed è vero. Amanda era troppo bella, troppo diavolo ed acqua santa, troppo “pulita” perché la triste storia che l’ha vista protagonista non si trasformasse in una soap opera ma prima della morte di Mez era “solo” una giovane studentessa americana di vent’anni che da Seattle, la città dello Microsoft, era arrivata in Italia. E Raffaele? Sollecito è ricordato come colui che baciava e accarezzava l’allora fidanzata mentre la polizia esaminava la scena del crimine, incurante delle telecamere al di là della strada. Ma basta questo a far di loro degli assassini?

In ogni fotografia, in ogni articolo, in ogni memoria, resta quella notte: la città che respirava l’autunno, il corpo di una ragazza, due ragazzi sospettati ma innocenti, e il silenzio straziante che nessuno potrà mai colmare. Meredith è rimasta tra le ombre di Perugia, testimone silenziosa di un mistero che non è ancora stato risolto.



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