L’insostenibile leggerezza della latitanza. Cosa ci dice il caso Messina Denaro

Alla fine cadono tutti, anche i più furbi e più scaltri. Non serve scappare, lo dimostra il destino dei più grandi capi mafia e dei più famosi criminali, braccati e traditi. Ma la latitanza non è mai un fatto privato

23 anni Salvatore Riina, 38 Bernardo Provenzano, 30 Matteo Messina Denaro. Latitanze durate mezza vita e finite tutte con le manette ai polsi. È la regola alla quale non si sfugge, il crimine non paga, anzi alla fine si paga. La fuga prima o poi sbatte contro un paio di manette.

Lenta e pressoché infallibile la macchina delle indagini e delle ricerche delle forze di polizia, coordinate dalla magistratura antimafia. Il dato che emerge prepotentemente dopo l’arresto di Messina Denaro è questo, tutto il resto è secondario. E la gente lo sa. Lo sanno quelli che hanno applaudito, che hanno ringraziato i carabinieri, che li hanno abbracciati questa mattina non appena è stato chiaro quanto avvenuto.

C’è un punto a margine che però ci costringe a riflettere, ed è un punto di domanda: si può fuggire e nascondersi da soli, o soltanto con l’aiuto dei soliti fiancheggiatori? Noi crediamo di no, pensiamo che ciò non sia possibile. Muoversi in un territorio per oltre 30 anni e mantenere un ruolo di primo piano, se non di vertice, in un’organizzazione complessa, articolata e dinamica come Cosa Nostra non è plausibile senza un consenso diffuso, un consenso non solo mafioso.

È improbabile che ci si possa spostare e curare per un tempo prolungato senza che un sospetto irrompa prepotentemente. Gli intrecci criminali si svolgono a livelli diversi, su questo non abbiamo dubbi, così come ritieniamo incredibile che si possa giocare a nascondino o ai quattro cantoni senza che qualcuno sappia, o senza che qualcuno voglia.

È questo il filo rosso da seguire in futuro, per le invisibili e ‘innocue’ mafie che sparano poco e uccidono ancor meno.