Le Prefiche, le vecchie ‘chiangimorti’ che cantavano il dolore

Le prefiche avevano il compito di accompagnare il defunto nell’ultimo viaggio, intonando lamenti funebri che esprimevano il dolore

In un tempo in cui la vita era scandita da un legame indissolubile con le tradizioni e il dolore si esprimeva attraverso gesti antichi e rituali profondi, c’erano le prefiche, custodi di un vecchio rito che andava in scena ogni volta che qualcuno (anche di non caro) veniva a mancare. Donne dai volti segnati dal tempo e dalle fatiche, con voci profonde e melodie struggenti, accompagnavano le anime dei defunti, intonando canti funebri e lamenti strazianti, tramandati di generazione in generazione. Un’arte antica, quella delle chiangimorti, oggi scomparse del tutto. Le parole, semplici e potenti, evocavano immagini di vita, amore e perdita, e descrivevano la figura del defunto nelle sue qualità più intime e personali.

Il loro compito era quello di piangere i defunti, di dare voce al lutto inconsolabile dei familiari e di ricordare chi non c’era più. Con gesti teatrali e canti lamentosi, le prefiche trasformavano il dolore in un rituale che offriva conforto ai vivi. Attraverso le parole, cariche di simbolismo e di immagini potenti, le prefiche evocavano la vita del defunto, ne esaltavano le virtù e piangevano la sua assenza.

Un’arte antica, un antico canto al lutto

Le origini di questa usanza si perdono nella notte dei tempi, ritrovando radici in molte culture antiche. In Italia, soprattutto al Sud, questa tradizione si è mantenuta a lungo, sopravvivendo nei secoli e tramandandosi di generazione in generazione.

Le prefiche erano donne straordinarie, custodi di un’arte millenaria, che trasformavano il dolore in poesia, il pianto in canto. Conoscevano a memoria antichi canti funebri, ricchi di simboli e metafore, e sapevano modulare la voce per esprimere tutta la gamma delle emozioni: dalla disperazione alla rassegnazione, dalla rabbia alla tenerezza.

Il loro repertorio era vasto e variegato: nenie, canti funebri, improvvisazioni poetiche. Ogni lamento era unico, modellato sulla storia del defunto e sulle circostanze della sua morte. Le prefiche conoscevano a memoria un’infinità di versi e di formule, ma sapevano anche improvvisare, dando vita a composizioni originali e toccanti.

Con il passare del tempo, la figura della prefica è scomparsa. Le nuove generazioni non sanno nulla (o quasi) di questo antico rito, ormai abbandonato, ma il ricordo delle prefiche continua a rivivere nella memoria e nelle pagine della storia, da leggere per riscoprire un patrimonio culturale inestimabile. La loro voce, un tempo udita solo durante i funerali, risuona come un richiamo a ritrovare un legame più profondo con la nostra umanità.