
«Non so quanto mi resta ancora da vivere, ma vorrei morire da cittadina italiana». Era questo il sogno di Adelina, come tutti avevano imparato a conoscerla da quando aveva raccontato la sua storia. Una storia cominciata nel 1996, quando è stata rapita a Durazzo e ‘spedita’ in Italia su un gommone per finire sulla strada. L’incubo durò fino a quando decise di ribellarsi ai suoi sfruttatori, grazie agli “angeli in divisa” come aveva chiamato gli agenti che l’avevano aiutata a cominciare una nuova vita. A quel punto aveva smesso di essere Alma Sejdin, prostituta albanese, ed era diventata un’amica per tantissime donne che con il suo aiuto avevano trovato il coraggio di cambiare pagina.
Ha salvato tante ragazze, Adelina. Con la sua testimonianza aveva dimostrato che potevano farcela, ma quando è arrivato il momento di “ringraziarla” per quello che aveva fatto, la donna è rimasta sola a combattere contro il cancro al seno e per ottenere quella cittadinanza italiana che meritava dopo aver fatto arrestare più di quaranta “trafficanti di carne umana” collaborando con le forze dell’ordine.
Il suicidio
Stanca di non essere ascoltata, Adelina ha deciso di togliersi la vita. Si è gettata dal cavalcavia ferroviario di ponte Garibaldi, dopo essere rimasta per ore sulle scale del Viminale in attesa che qualcuno la ricevesse. Sulle spalle aveva il tricolore. Un ultimo messaggio.
Una disperazione covata a lungo e che non ha trovato altra strada se non quella del suicidio. Non era la prima volta che aveva provato a farla finita. A fine ottobre aveva cercato di darsi fuoco, ancora una volta in segno di protesta. Quella voce “albanese” scritta sul permesso di soggiorno che la Questura di Pavia le aveva rilasciato proprio non riusciva a sopportarla. Nella sua terra era una «donna morta», come aveva raccontato anche a noi di Leccenews24. Ripudiata dalla famiglia, voleva essere una cittadina italiana. O almeno mantenere lo stato di «apolide».
Temeva che, con i nuovi documenti, non avrebbe ottenuto una casa popolare e che avrebbe perso l’indennità di invalidità che le era indispensabile per vivere e per curarsi non potendo lavorare.
Alla fine si è arresa. Lei che aveva cambiato con coraggio il suo destino, che aveva aiutato tante donne a lasciare il marciapiede. Lei che aveva affrontato la malattia chiedendo aiuto con dignità, ha deciso di mettere fine a tutto. Anche alla sua vita. Vittima della burocrazia e disperata, si è ammazzata. Sotto la pioggia, ha scavalcato il parapetto di ponte Garibaldi e si è buttata. Inutili i tentativi di trattenerla fatti da alcuni passanti.
Adelina è morta, in una strada della capitale da cui era stata allontanata con un foglio di via. Non da cittadina italiana.