La tragedia del Vajont, il peggior disastro provocato dall’uomo

9 ottobre 1963. L’orologio aveva da poco segnato le 22.39, quando dal monte Toc si ‘staccano’ 260 milioni di metri cubi di roccia che precipitano nella diga del Vajont. L’onda provocata dall’impatto cancella i paesi vicini. Si conteranno 1917 morti.

Un «disastro annunciato», si dirà… ma nessuno avrebbe mai immaginato che quel 9 ottobre 1963 la tragedia del Vajont avrebbe ferito al cuore l’Italia e il mondo intero, spezzando la vita di 1.917 persone, cancellando Erto e Casso e distruggendo quasi del tutto Longarone. Una ferita che fa fatica a rimarginarsi, nonostante siano passati quasi 60 anni dalla catastrofe. L’orologio aveva da poco segnato le 22.39, quando dal Monte Toc si straccarono 260 milioni di metri cubi di roccia e terra che cominciano a scivolare nel lago artificiale costruito per far funzionare una centrale elettrica. L’impatto con l’acqua provocò un’onda che ha travolto tutto, lasciando solo morte.

La notte che sconvolse il mondo

Qualche giornalista coraggioso aveva più volte raccontato che la diga, costruita in una zona geologicamente pericolosa esposta al forte rischio di frane e fenomeni sismici, era una minaccia. Tina Merlin, giornalista bellunese de L’Unità, il quotidiano del partito comunista, cominciò a scrivere dei rischi dell’impianto, ma ottiene come risposta una denuncia per diffusione di notizie atte a turbare l’ordine pubblico. C’erano stati anche dei periti, onesti, che avevano segnalato i movimenti del terreno. Se la montagna dovesse franare… dicevano la tragedia non potrà essere evitata. Se solo fossero stati ascoltati, forse la strage si sarebbe potuta evitare.

Tutte le paure si materializzeranno la sera del 9 ottobre, quando dalla montagna si staccano 260 milioni di metri cubi di roccia, terra e alberi. L’impatto nell’acqua contenuta nell’invaso, alla velocità di 100 km/h, provocò un’onda impressionante, dalla potenza due volte superiore alla bomba di Hiroshima e Nagasaki. In meno di due minuti si consuma l’irreparabile. Per Erto, Casso, le frazioni di San Martino, Pineda, Spesse, Prada, Liron, Col della Ruava, Forcai, Valdapont e Longarone non c’è scampo. 1.917 persone morirono. A 487 bambini fu cancellato il futuro. Il più piccolo, Claudio Martinelli, aveva appena 21 giorni di vita. Nessuno ha avuto il tempo di difendersi, di mettersi al riparo.

Non esistevano più case, né chiese, strade o scuole, monumenti e memorie e sogni. C’era solo fango, macerie. Silenzio, morte e desolazione.

Le colpe dell’uomo e la complicità della natura

Il 10 ottobre 1963, quando l’Italia si svegliò leggendo sui quotidiani la notizia del disastro del Vajont, accadde una cosa “strana”. Tante, tantissime penne del giornalismo di casa nostra archiviarono quello che era successo come una disgrazia naturale per la quale l’uomo non aveva alcuna responsabilità. Dopo il disastro, i veri responsabili furono elogiati per aver costruito una diga in grado di rimanere in piedi nonostante la sfortunata calamità. Un capolavoro di ingegneria coinvolto in una tragedia che nessuno poteva prevedere. In realtà, il Monte Toc ogni giorno scivolava di qualche centimetro, era come qualcuno aveva scritto, una montagna che cammina.

Solo Tina Merlin, “la Cassandra del Vajont”, firmò un pezzo in cui mise nero su bianco i sensi di colpa per non aver potuto fare di più. «Sto scrivendo queste righe col cuore stretto dai rimorsi per non aver fatto di più per indurre il popolo di queste terre a ribellarsi alla minaccia mortale che ora è diventata una tragica realtà. Oggi, tuttavia, non si può soltanto piangere. È tempo di imparare qualcosa…». In realtà non era stato facile farsi ascoltare.

All’indomani della tragedia si disse: mai più. Parole troppe volte ripetute, dopo disastri di ogni genere.

 

immagine di copertina difesa.it



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