Pochi i braccianti regolarizzati, per ora la sanatoria sui migranti è un flop

Le grandi aspettative della sanatoria in materia di regolarizzazione dei migranti svaniscono alla prova dei dati: i numeri sono scarsi e il provvedimento non ha fatto presa sul principale settore cui era indirizzato, quello agricolo.

Iniziata con le lacrime della ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova dopo l’inserimento nel decreto rilancio, la parabola della sanatoria in materia di regolarizzazione dei migranti sta volgendo al termine. Ma le grandi aspettative riposte nel provvedimento – varato a margine di una lunga trattativa tra i partiti della coalizione di maggioranza – svaniscono alla prova dei dati, dai quali emerge un quadro piuttosto chiaro del suo andamento: i numeri delle regolarizzazioni sono scarsi e la misura non ha fatto presa sul principale settore cui era indirizzata, quello agricolo.

A dare contezza della situazione in Puglia è il rapporto presentato dalla sezione regionale della Flai Cgil a Borgo Mezzanone, Foggia, dove le dinamiche del caporalato e dello sfruttamento dei braccianti agricoli sono intessute visceralmente al territorio, tanto da farne uno dei ghetti più conosciuti a livello nazionale.

Stando ai numeri, sono 1781 i braccianti regolarizzati nell’intera Regione, a fronte di una sacca di 15mila migranti con permesso di soggiorno scaduto e con i requisiti per accedere alla sanatoria governativa. Che – è bene ricordare – prevede due modalità di accesso alla emersione dei rapporti di lavoro: un canale gestito dal datore di lavoro di uno dei comparti per i quali è stata prevista l’attivazione della sanatoria (agricoltura, lavoro domestico e assistenza alla persona), con cui si prevede la presentazione della domanda di assunzione – o di emersione di un rapporto già esistente – di un lavoratore che dimostri di essere presente in Italia da prima dell’8 marzo 2020 e di non essersi allontanato dal territorio nazionale dopo la stessa data, previa dimostrazione da parte del datore del possesso della capacità economica per pagarne l’assunzione e al pagamento forfettario di 500 euro per ciascun lavoratore regolarizzato. E un secondo canale, attivabile dal lavoratore stesso, in possesso di un permesso di soggiorno scaduto dalla data del 31 ottobre 2019 e che abbia lavorato prima di questa data in uno dei tre settori inglobati nella sanatoria, in aggiunta, anche in questo caso, alla dimostrazione di essere in Italia da prima dell’8 marzo 2020 e di non essersene allontanato successivamente.

Nel suo intervento dalla baraccopoli abusiva del territorio foggiano, il segretario della Cgil pugliese Pino Gesmundo ha chiesto la proroga della scadenza della sanatoria, prevista per il prossimo 15 agosto. Perché “ad oggi – sono le parole del segretario – abbiamo registrato una inefficacia. I numeri certificano che sono pochissimi i lavoratori che hanno potuto utilizzare questa norma che ha interessato maggiormente i lavoratori di altri settori, come colf e badanti. Bisogna normare la regolarizzazione di questi lavoratori, bisogna intervenire soprattutto sulla parte datoriale ed evitare che si continui a far riferimento ai caporali”, ha concluso, evidenziando quindi le lacune della misura governativa.

La realtà pugliese, d’altra parte, riflette appieno la situazione nazionale: secondo l’ultimo report diffuso dal Ministero dell’Interno le domande per la regolarizzazione dei rapporti di lavori ricevute complessivamente dal portale, alle ore 12 del 31 luglio, sono 159.991, di cui 11.397 in corso di lavorazione. Per dare una misura, le stime annoverano 600mila persone prive del permesso di soggiorno e a lavoro senza alcun diritto. Quelle a cui era diretta la sanatoria.

L’87% del totale delle domande perfezionate (128.719) e il 75% di quelle in lavorazione (8.598) sono poi riferite al settore domestico e dell’assistenza alla persone, incluso nella sanatoria solo in un secondo momento e dopo diverse pressioni. Il lavoro subordinato – quello in cui rientra il settore agricolo – riguarda invece il 13% delle domande già perfezionate (19.875) e il 25% di quelle in lavorazione (2.799).

Che, tradotto dai numeri, equivale a una considerazione lapalissiana: il provvedimento nato dalla necessità di mitigare le conseguenze della pandemia da coronavirus sull’agricoltura si è rivelato poco proficuo proprio per il settore cui era mirato, quello agricolo. E le proteste di chi evidenziava la necessità di un provvedimento esteso non solo a tre settori, che desse potere contrattuale ai migranti e che ponesse al centro la persona umana prima del lavoratore funzionale a un’economia gravata dai contraccolpi economici della pandemia, all’evidenza, si sono rivelati sensati.



In questo articolo: