Inaugurato il complesso degli Agostiniani, viaggio nel gioiello restituito ai leccesi

Conosciamo la storia dell’importante complesso che nella giornata di ieri è stato inaugurato dopo anni di abbandono ed è stato recuperato in tutta la sua bellezza e maestosità.

Il complesso monumentale degli Agostiniani torna a risplendere nella sua integrale formalità asciutta e rigorosa. Molto vicina per tipologia e funzione al complesso di Melpignano, la fabbrica fu fondata il 18 aprile 1649, in un'area donata ai monaci dall'università che, dieci anni prima (13 marzo 1639) aveva deliberato di accogliere in città l'ordine agostiniano.
 
L'area donata corrispondeva al luogo dove avvenivano le esecuzioni capitali nei primi del seicento. La prima pietra fu benedetta, il 18 aprile del 1649, dal vescovo di Castro Francesco Colonna. I regolari abitarono il convento, intitolato a S. Lorenzo, ed officiarono la chiesa, dedicata alla Vergine SS. Incoronata (Madonna di Ogni Bene), fino alla soppressione napoleonica nel 1810.
 
A seguito della restaurazione borbonica il convento passò al Patrimonio Ecclesiastico Regolare e alla curia vescovile di Lecce. L’intero complesso venne acquistato dal patrizio leccese Giovanni della Ratta che lo cedette, con diritto di riversione in caso di nuova soppressione, ai minori osservanti francescani (1831), che intitolarono la chiesa ed il convento a S. Antonio da Padova, e vi istituirono lo studio generale prima di filosofia e poi di teologia, esistito fino al 1852. A partire da questa fatidica data, la struttura cambiò radicalmente la sua funzione, divenendo una caserma.
 
Senza nessun motivo di rilievo, la chiesa fu poi sconsacrata e diventò prima magazzino comunale e poi sartoria militare fino agli anni sessanta del XX secolo. A seguito della soppressione sabauda (1866) l’immobile, entrato in possesso del Demanio dello Stato, venne affittato nel 1871 dal Comune di Lecce per destinarlo al 6° Reggimento Fanteria. Il complesso venne tuttavia rivendicato dagli eredi della Ratta; ne scaturì una complessa vicenda giudiziaria, che si concluse nel 1875 con l'acquisto dell'immobile e del giardino annesso da parte dell'Amministrazione comunale. Agli inizi del XX secolo si assiste alla permuta dell’immobile, tenuto in fitto dall’Amministrazione Militare e utilizzato come Infermeria presidiaria, con la Caserma S. Martino (ex palazzo della Regia Udienza) di proprietà del Demanio. Nel Novecento la struttura ha ospitato magazzini, laboratori ed infine la sartoria militare. Recentemente, abbandonato dal ramo Difesa – Esercito del Demanio dello Stato, il complesso è stato affidato all’Intendenza di Finanza. Attualmente è in corso di perfezionamento la procedura per il trasferimento dell’immobile dal Demanio statale a quello del Comune di Lecce, ai sensi della Legge 7 aprile 2014, n. 56 (legge Del Rio).
 
Il complesso architettonico, conosciuto anche come "Santa Maria di Ognibene", è costituito dall'antico monastero degli Agostiniani scalzi,dalla la chiesa barocca e da un'area recintata del giardino, nel quale sono ubicate le strutture dei vecchi ambienti militari di servizio già adibite a depositi.
 
La struttura è complessa e interessante da un punto di vista architettonico. La parte più antica e di maggiore interesse è costituita dall’antico monastero degli Agostiniani, nonché dall’area corrispondente all’annesso giardino. In detta area sono sorte, successivamente, delle strutture adibite da subito a depositi militari. L’edificio conventuale si caratterizza per un rigore formale essenziale, in linea con i dettami della semplicità agostinianae si sviluppa su due piani articolati intorno ad un cortile centrale.
 
Al centro della platea del chiostro è stato lasciato a vista un pozzo di diametro consistente, circondato da una balaustra. Risente fortemente, nell’aspetto attuale, delle trasformazioni operate dai militari nel corso del secolo scorso. Attigua al convento si erge la chiesa che, malgrado le numerose offese subite anche a seguito della sconsacrazione (già nei primi decenni del Novecento risultava “manomessa e ridotta a magazzino di deposito”), conserva ancora un impianto strutturale tardo rinascimentale. La chiesa veniva anche chiamata dei Coronatelli in quanto i padri agostiniani scalzi veneravano la Vergine Incoronata. La facciata è a due ordini, spartita da lesene piatte e marcapiani alternati a nicchie che ospitano, nell’ordine inferiore, le statue in pietra leccese dei santi Francesco d’Assisi, Domenico di Guzman e, in quello superiore, Oronzo e Gennaro in abiti vescovili.
 
L’immagine di S. Antonio da Padova
compare all’interno del timpano spezzato della finestra del secondo ordine, mentre la Vergine col Bambino trova posto all’interno del fastigio. L'interno è a navata unica e a croce latina, con tre cappelle per lato intercomunicanti. L'altare maggiore non è più esistente, mentre ai lati sono rimasti a sinistra di chi entra, quattro altari di età barocca e a destra quattro altari di periodo ottocentesco.
 
Al centro della crociera si innalza una cupola, innestata su in alto tamburo decorato con trionfi floreali di pregevole bellezza.Parzialmente integra la bellissima preziosa volta lunettata i cui fregi a festoni dialogano con l’interno di Santa Croce nei richiami simbolici (la melagrana) e di fattura. La volta lunettata, èattribuita all'architetto Marcello salentino. Il restauro degli interni ha rintracciato i pigmenti colorati all’interno delle nicchie soprastanti gli altari, ormai prive delle statue di culto, saccheggiate in tempi passati. Sono state preservate anche le patine sugli elementi lapidei obliterate da pesanti scialbature. Nel versante sinistro, che ospita gli altari di età barocca, sono stati rintracciate le punte lanceolate, firma dell’architetto Zimbalo; questo dato fa ipotizzare che parte del materiale provenisse dal cantiere di S.Angelo, altra sede degli Agostiniani, dove si attesta la presenza dello Zimbalo. Anche nel trasnsetto sono presenti due altari alle testate sormontati da nicchie che ospitavano rispettivamente le sculture di S.Andrea Avellino e San Giovanni da S. Facondo a destra, mentre nel braccio sinistro del transetto S. Cristoforo e S. Girolamo.
 
Le sculture sono perdute e ci rimangono i cartigli con i loro nomi. Nel presibiterio, adagiato sulla sinistra il frammento di un lavabo in pietra, in foggia di conchiglia, simile a quello presente nella chiesa di SS.Niccolò e Cataldo. Sullo sfondo un arco ribassato calpestabile, coronava il perduto altare. Il giardino di Ogni Bene aveva originariamente una superficie ben più vasta dell’attuale. Gli stessi documenti testimoniano che il giardino ha avuto sin dalla sua origine, probabilmente coeva alla costruzione del convento (1645 circa), una funzione prevalentemente produttiva. Documentabile era la presenza di fichi, melograni, viti ed agrumi accanto a piante ornamentali da fiore.
 
L’assetto attuale del giardino, squadrato in aiuole regolari disposte lungo assi ortogonali, è frutto di una rievocazione progettuale che tende a suggerire quali potessero essere le coltivazioni presenti un tempo. Trattandosi di una ipotesi, si è tenuto conto di casi analoghi di ricostruzioni o restauri di giardini annessi a conventi e monasteri e nella scelta delle specie vegetali prevalgono quelle autoctone e tipiche del paesaggio agrario salentino, con un limitato uso di specie esotiche.
 
La distribuzione e ripetizione di aiuole rettangolari, di dimensioni e geometrie simili, sono un chiaro riferimento sia al tema della classificazione botanica, che alla semplice orditura e frammentazione dei campi in piccole parcelle. Il giardino è suddiviso in aree riconoscibili: il frutteto con vigne e parcelle di erbacee perenni aromatiche, il giardino dei fiori, la passeggiata dei melograni, la piazzetta degli alberi di Giuda ed il percorso perimetrale intorno al convento. Il pergolato presente nel frutteto, interamente ricostruito, è stato posizionato sull’asse di un’analoga struttura, documentata nell’ambito della sorveglianza archeologica, verosimilmente risalente al periodo dell’occupazione militare del Convento.



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