Della Xylella fastidiosa, il batterio killer che è riuscito a piegare i maestosi alberi di ulivo, quei monumenti naturali diventati un simbolo del Salento, ormai non si parla quasi più. Altre ‘battaglie’, similmente importanti, hanno preso il posto – almeno sulle prime pagine dei giornali – della lotta al patogeno da quarantena che ha condannato a morte centinaia e centinaia di piante ‘grazie’ alle condizioni ambientali favorevoli e alla cicala sputacchina che ha fatto in un certo senso da ‘tassista’. Oggi l’attenzione è tutta concentrata sulla scelta di Trenitalia di far fermare Frecciarossa, il treno ad alta velocità che collegherà la Puglia alla Lombardia in poco più di 6ore, alla stazione di Bari, escludendo ancora una volta questa terra già mortificata. Domani, toccherà a qualche altro ‘smacco’ al territorio perché ahimè funziona così, da sempre.
Dal 2013, anno in cui il Complesso del disseccamento rapido dell’ulivo noto con l’acronimo CoRiDo, è stato ‘scoperto’ nella zona di Gallipoli poco e nulla è stato fatto per rispondere ad alcune domande fondamentali. Come è arrivata la Xylella fastidiosa e soprattutto esiste una cura per fermare il contagio? L’unica soluzione, al momento, è stata quella di abbattere gli alberi infetti per creare una zona cuscinetto per impedire che si propaghi oltre, che salga fino a minacciare pericolosamente Bari danneggiando, più di quanto non è stato fatto, l’olivicoltura pugliese. Scelta che ha sollevato non poche polemiche tra i movimenti locali e gli ambientalisti che hanno bollato l’eradicazione come una strage inutile. D’altro canto, va detto a onor di cronaca, che i metodi tradizionali adottati per curare le campagne rase al suolo dal patogeno non hanno sortito l’effetto desiderato. Su una cosa sono tutti d’accordo: gli agricoltori per ragioni diverse si sentono abbandonati. Una di queste ‘ragioni’ è il divieto di reimpianto da più parti contestato perché rischia di ‘desertificare’ ancor di più il territorio. Insomma, non poter piantare nuove piante lì dove le vecchie sono morte a lungo termine potrebbe portare alla scomparsa sia dell'olivicoltura che del caratteristico paesaggio agrario. Per questo motivo dal comitato ‘La Voce dell’Ulivo’ annunciano di essere pronti a ricorrere alla Corte di Giustizia Europea.
«Il divieto di reimpianto – si legge nel comunicato – è una misura iniqua nei confronti del Salento, con nessuna efficacia nei confronti del contenimento del batterio e soprattutto unica al mondo per ciò che riguarda gli organismi da quarantena».
Non solo parole. Nei prossimi giorni saranno fissati i primi incontri con i legali che assisteranno l'associazione, in questa che la stessa definisce "la battaglia per la sopravvivenza del Salento", intesa come difesa del paesaggio, della cultura e della tradizione. Quella olivicola e olearia in modo particolare.
«Chiedere la decadenza del divieto di piantare alberi di ulivo più che un dovere è un atto d'amore verso il nostro territorio, verso i nostri figli – concludono dalla Voce dell'Ulivo – se la provincia di Lecce è stata dichiarata zona di insediamento, è perché la comunità scientifica ha preso atto che il batterio ormai è ineradicabile dal Salento. Quindi non avere la libertà di piantare gli ulivi significa condannare a morte il territorio».