
Sono passati anni e l’omicidio di Peppino Basile, il Masaniello del Salento, resta ancora senza un colpevole. E senza un perché. Era la notte tra il 14 e il 15 giugno del 2008, quando “il Figlio del Popolo”, come lui amava farsi chiamare, fu ucciso con più di venti coltellate a pochi passi dall’ingresso della sua villa a due piani, in un quartiere residenziale alla periferia di Ugento.
Il consigliere comunale e provinciale dell’Italia dei Valori, partito fondato da Antonio Di Pietro, non era uno che stava zitto e con l’arma dell’ironia aveva cercato di portare avanti gradi e piccole battaglie. Lo conoscevano tutti, Peppino, nel bene e nel male. In tanti giurano di averlo sentito dire spesso «a forza di fare denunce politiche finisce che prima o poi qualcuno mi ammazza». E qualche minaccia l’aveva ricevuta, ma nessuno avrebbe mai immaginato che quella notte il “predicatore nel deserto” sarebbe andato incontro alla morte.
L’omicidio
Peppino stava tornando a casa dopo una serata passata a Torre Pali. Mancano pochi metri alla sua abitazione, quando qualcuno, con la complicità del buio illuminato solo da un flebile lampione, lo colpisce più e più volte mentre il politico cerca di difendersi. Il consigliere comunale riesce a chiedere aiuto. “Aiuto, aiuto. Cummara Tetta, compare, aiutatemi”., furono le sue ultime parole.
L’orologio segna l’una e mezza, quando i vicini scendono in strada e lo trovano in una pozza di sangue, ancora vivo. Il cuore di Peppino Basile smetterà di battere poco dopo, tanto che l’arrivo di un’ambulanza del 118 sarà inutile. Aveva 61 anni.
Le piste seguite
Tutte le strade imboccate per spiegare la sua morte si sono concluse in un vicolo cieco. Senza uscita la pista passionale portata avanti solo perché Peppino, si vociferava, “amava le donne”. Senza uscita quella economica. Quella legata alla criminalità organizzata era stata abbandonata.
È caduta anche l’ipotesi del delitto d’impeto, della “lite di vicinato” scoppiata per futili motivi. L’assoluzione di Vittorio Colitti Junior e di suo nonno perché il ‘fatto non sussiste’ ha scritto la parola fine. Ad incastrarli era stata la testimonianza di una bambina di 5 anni svegliata dai rumori di quella notte. Ascoltata dagli inquirenti, accompagnata dalla mamma e da una assistente sociale, la piccola aveva raccontato a modo suo di aver visto dalla finesta un pestaggio e notato un anziano e un ragazzo più giovane che aveva indicato come il nonno e il fratello di un suo compagno di giochi.
Vittorio Colitti e suo nipote (all’epoca minorenne) vengono arrestati e processati. Anche se non erano state trovate tracce in casa, analizzata dalla scientifica dopo il delitto. Anche se una testimonianza giura di aver sentito Basile chiedere aiuto alla famiglia finita sotto i riflettori come sospettati. Non si capisce perché Peppino avrebbe dovuto chiedere aiuto ai vicini, invocato il nome di chi lo stavano ammazzando. Altro dolore – quello di una famiglia trascinata in un inferno senza, e lo dicono le sentenze, avere colpe – nella tragedia.
Non solo i killer sono rimasti senza volto e senza nome. L’omicidio di Peppino Basile resta inspiegabile. Non è stato trovato nemmeno movente. Restano solo fili che legano il delitto a delle ombre mentre il tempo passa senza risposte e soprattutto senza che sia stata fatta giustizia. Un delitto che sarebbe finito nel dimenticatoio, forse, se non fosse per l’impegno di tantissime persone che vogliono la verità. E continuano a cercarla.