Il caso di Roberta Ragusa: un giallo ancora da risolvere, ma non per la giustizia

#accaddeoggi. Sono passati 11 anni da quando è scomparsa Roberta Ragusa. Per la giustizia il marito Antonio Logli è stato ritenuto colpevole di omicidio e distruzione di cadavere.

Roberta Ragusa

Sono passati 11 lunghi anni dalla scomparsa di Roberta Ragusa. Era il 13 gennaio 2012 quando la mamma 45enne di Gello – frazione di San Giuliano Terme (Pisa) – è sparita nel nulla. Per la giustizia il caso è chiuso, il colpevole ha un volto e un nome. È stato il marito Antonio Logli ad uccidere la moglie dopo un litigio e a nascondere il corpo chissà dove. Lo dicono le accuse con cui è stato condannato a 20 anni: omicidio e distruzione di cadavere. Tre gradi di giudizio non sono comunque bastati a scrivere la parola fine su un giallo mai chiarito del tutto.

Da un lato, c’è una donna sparita nel nulla nel cuore della notte, una mamma che ha lasciato i figli poco più che bambini ed è stata avvolta dal silenzio. Dall’altro c’è un uomo, un padre che si è sempre dichiarato innocente spalleggiato da Daniele e Alessia, ormai maggiorenni, che hanno sempre difeso il papà. C’è un detenuto che, ancora oggi, continua a urlare la sua innocenza, a sostenere di essere vittima di un’ingiustizia, a ribadire che Roberta sia fuggita, sia scappata all’estero.

Ma nella storia di questa famiglia benestante e conosciuta c’è sempre qualcosa che manca. Qualche domanda a cui non è stata data mai una risposta. E allora ecco le tappe principali della vicenda di Roberta Ragusa e cosa non torna in questo caso di cronaca nera che ha toccato molti italiani, colpiti da quegli occhi azzurro cielo impressi negli scatti diffusi durante le ricerche.

La caduta accidentale e la scomparsa di Roberta Ragusa

Era un freddo venerdì di gennaio, quando Antonio Logli ha bussato alla porta delle Forze dell’Ordine per raccontare che la moglie si era allontanata in pigiama nel cuore della notte, forse in stato confusionale. Alla domanda degli uomini in divisa sul perché Roberta fosse “disorientata”, il marito ha risposto che era caduta da una scala, qualche giorno prima, battendo con violenza la testa. Un episodio confermato da un’amica della donna, con cui si era confidata, ma c’è un dettaglio da aggiungere. E non di poco conto. Dopo l’incidente domestico mentre riponeva gli addobbi di Natale, la 45enne si è recata da un medico per una visita proprio per scongiurare traumi.

Il nervosismo dimostrato e l’insistenza del marito che continuava a parlare di allontanamento volontario hanno insospettito gli inquirenti. Sospetti che sono cresciuti quando Logli ha portato via la sua Ford, sottraendola al controllo dei cani molecolari, giustificandosi con un guasto – la rottura del contenitore del filtro del gasolio – da riparare quanto prima, quando aveva chiesto a Sara Calzolaio, amica di famiglia, baby-sitter dei suoi figli e dipendente della scuola guida di famiglia, di cancellare le e-mail che si erano scambiati e di gettare il cellulare nel cassonetto. Erano amanti. Lui la chiamava di nascosto, le inviava, ogni sera, messaggi pieni d’amore. Lo aveva fatto anche quella notte, quando le aveva sussurrato “Ti amo” di nascosto.

Un comportamento insolito, quanto meno strano, confermato quando sembrava riluttante a partecipare alle ricerche dell’imprenditrice o a divulgare fotografie della moglie, quando ha fatto sparire il giubbotto indossato la sera della scomparsa, mai più ritrovato.

Lui, lei, l’altra. Un classico triangolo amoroso sfociato in tragedia. Per l’accusa la relazione extra-coniugale era diventato un possibile movente dell’omicidio. La crisi con la moglie, la presenza sempre più ingombrante di Sara che, come dimostrerà il futuro, era diventa qualcosa in più di una terza incomoda avrebbero spinto Loghi a sbarazzarsi della compagna. Non è un reato tradire la moglie, ma avere paura di perdere tutto per l’accusa basta. Antonio era preoccupato che, in caso di separazione, avrebbe dovuto rinunciare alla scuola-guida e alle proprietà.

Il diario di Roberta

Il matrimonio di Roberta e Antonio si era sgretolato anno dopo anno. E lei affidava i suoi pensieri, il suo dolore ad un diario segreto in cui annotava i sospetti dei tradimenti, la solitudine, i malumori. Aveva scritto anche una lettera al marito.

«So che odi leggere per cui interrompo subito questo fiume di parole che ti lascerà sicuramente indifferente. Tu non ti accorgi che io vivo la vita fuori dalla mia vita e che i miei occhi guardano occhi che non guardano i miei. Sono stanca, stanca, stanca, stanca dei battibecchi sui soliti quotidiani argomenti, stufa di chiederti quello che qualsiasi compagno con un po’ di buon senso capirebbe al volo esasperata dal tuo modo di rispondere sempre fingendo di non capire o travisando la realtà dei fatti. Se tu avessi anche solo un briciolo di sensibilità ti chiederesti: ‘Ma cosa ho dato, cosa sto dando di me stesso alla mia compagna, mi preoccupo di ciò che pensa, prova, desidera?’» si legge.

Che cosa è accaduto quella notte?

Come scritto nelle motivazioni della sentenza, Roberta, che aveva cominciato a sospettare dei tradimenti del marito, quella notte ha scoperto che l’amante era Sara, forse perché aveva ascoltato l’ultima chiamata – quella effettuata 17 minuti dopo la mezzanotte e durata 17 secondi – in cui Logli salutava la sua compagna con un «Ti amo», prima di darle la buonanotte. Un doppio tradimento per la donna. A quel punto, c’è la fuga. Per i giudici perché aveva paura. Secondo altre ricostruzioni, perché era decisa ad affrontare la rivale quella notte stessa. Fatto è che, con meno sei gradi, uscì con le scarpe da tennis, il pigiama rosa e una giacca. Se diretta a casa della Calzolaio che abitava poco distante o altrove è impossibile saperlo. Intuendo il tragitto nei campi di Roberta – fiutato anche dai cani molecolari durante le ricerche – Logli raggiunge la moglie in macchina e la convince ad entrare, promettendole probabilmente che l’avrebbe accompagnata dalla ex amica per chiarire.

La testimonianza del giostraio

A incastrare Antonio è stata anche la testimonianza di Loris Gozi, giostraio che ha raccontato di aver assistito alla fuga disperata di Roberta Ragusa per le strade deserte di Gello. Ha aggiunto un particolare: era in pigiama. E, soprattutto, non era da sola. Ad aspettarla, seduto in auto vicino a un passaggio a livello a pochi passi della loro villetta, c’era il marito, Antonio Logli che ha discusso animatamente con la donna.

Un racconto inattendibile? E allora perché, il 25 gennaio 2013 Antonio, di notte, verifica con un esperimento “se fosse possibile vedere all’interno di un veicolo parcheggiato in strada al buio dopo che una trasmissione televisiva aveva diffuso la notizia dell’esistenza di un teste che lo aveva visto litigare con una donna in via Ulisse Dini”. “Soltanto chi realmente si era trovato a vivere quella situazione per propria esperienza diretta – la spiegazione dei giudici – era consapevole della veridicità della testimonianza”.

Il cadavere mai trovato

Il resto è storia nota: tutti la cercano, nessuno la trova. Per la legge è morta, anche se il suo corpo non è mai stato ritrovato. Roberta non si è rifatta una vita come in tanti hanno insinuato. In fondo, dicono i più, nessuna mamma può abbandonare i suoi bambini e dimenticarli per sempre. E, soprattutto, non si è allontanata volontariamente, perché sarebbe morta di freddo e il suo corpo sarebbe stato ritrovato non distante da casa. Anche per gli ermellini, il mancato ritrovamento del cadavere rafforzerebbe l’ipotesi dell’omicidio. «Se la morte fosse sopraggiunta per fatto accidentale, o colposo, oppure ancora per una causa naturale, (Antonio) aveva tutto l’interesse di conservare le evidenze probatorie in grado di avvalorarlo e di alleggerire la sua posizione», scrivono.

Per i giudici, non è stato un omicidio premeditato, ma un delitto d’impeto quando la situazione quella tragica notte è precipitata. E se manca un corpo è perché Logli lo ha nascosto bene.

Chiesta revisione del processo

Anche se si tratta di un delitto senza cadavere, c’è una verità giudiziaria che non è quella difesa da Logli. «Mi sono alzato alle 6.45 e Roberta non era a letto accanto a me» ha sempre ripetuto. Per questo gli avvocati avevano chiesto la revisione del processo che la Corte di Appello di Genova ha rifiutato.

«Sono pagliacciate che rinnovano il nostro dolore – aveva sbottato Giovanna Alpini – Logli e suoi difensori dicano ciò che vogliono, ma Roberta ha almeno avuto giustizia anche se non una tomba dove piangerla e portarle un fiore. Fa male, malissimo anche questo aspetto ma non voglio continuare ad alimentare un clamore mediatico che non mi interessa e che serve solo a fare pubblicità a qualcuno».

Caso chiuso, ma resta ancora una domanda: che fine ha fatto Roberta Ragusa?



In questo articolo: