La fama criminale di Fernando Nocera. Il clan, la moglie, l’amante e il consenso sociale: “In casa c’era la processione”

Fernando Nocera, forte del suo curriculum criminale, è riuscito a ‘comandare’ il clan dal Carcere anche grazie alla moglie e all’amante.

Quando l’indagine ha cominciato a muovere i suoi primi passi, l’attenzione degli inquirenti si è subito concentrata su Fernando Nocera, capo di un gruppo criminale ‘fedele’ al Clan Tornese di Monteroni di Lecce e ‘vicino’ al sodalizio diretto da Saulle Politi.

Originario di Cerignola, in provincia di Foggia, si era trasferito in Salento alla fine degli anni ’80, riuscendo a farsi strada nella frangia leccese della Sacra Corona Unita come esperto in rapine, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. In quel periodo si affiancò a Angelo Saponaro, allora referente del clan per la zona di Carmiano e della frazione Magliano, poi condannato all’ergastolo e attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Novara.

Anche lui fu condannato a 11 anni e 6 mesi, ma dopo aver scontato la pena e riottenuta la libertà era tornato a ‘controllare’ la zona di Carmiano, fino a quando, nel 2009, era finito di nuovo in manette con l’accusa, questa volta, di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Aveva preso di mira il gestore di una “bisca”, costretto a versare al Nocera una percentuale degli incassi, circa 5.000 euro al mese, per assicurarsi la “protezione” del locale clandestino. Si stima che fino a quando non sia stato fermato (e condannato a 6 anni e 8 mesi di reclusione che ha finito di scontare nel maggio 2016) abbia ‘ottenuto’ circa 300mila euro.

Il carcere, la condanna per 416bis e le sentenze non hanno fermato la ‘carriera criminale’ di Nocera, diventato deux ex machina dell’associazione smantellata nell’Operazione armonica di questa mattina – «’motore’ di una rodata struttura criminale» come si legge nell’ordinanza a firma del Gip Cinzia Vergine – che poteva contare su numerosi sodali, con ruoli ben precisi. Del clan facevano parte anche la moglie, Livia Comelli e l’amante, Giuliana Cuna, rivali in amore, ma ‘amiche’ per il loro uomo.

La struttura del clan

Il 53enne di Carmiano poteva contare sulla sua ‘forte caratura criminale’ che aveva conquistato con i suoi trascorsi con la giustizia e la sua vicinanza ai “Monteronesi”, un collegamento ancora vivo come sottolinea il Giudice per le indagini Preliminari nelle oltre 250 pagine di ordinanza. Se Nocera era il vertice della struttura gerarchica piramidale, gli altri componenti della consorteria avevano un ruolo ben preciso ed erano legati da una sorta di «affectio societatis», come dimostra l’uso di termini proprio del vincolo familiare quali “zio” o “papà”. Ricorrente la parola “Famiglia”.

Se da un lato, il sodalizio era noto per la sua «forza di intimidazione», sia mediante la realizzazione dei reati, sia semplicemente sulla base della “fama criminale” dei suoi componenti, dall’altro il gruppo poteva contare sul consenso sociale che si era guadagnato facendosi carico dei problemi della gente comune, ‘presentandosi’ come un punto di riferimento affidabile e concreto.

La ‘popolarità’ di Nocera

La fama criminale del foggiano era nota. Nocera non solo era rispettato, ma quasi ‘venerato’. Lo dimostrerebbe, secondo il Gip, il suo lussuoso tenore di vita. L’uomo era ricoperto di regali, soprattutto durante il periodo di Natale [panettoni artigianali pregiati, agnelli e capretti, altri tipi di carne e “pensierini” non meglio indicati], e trattato con riguardo dovunque si recasse, che siano locali o ristoranti. Anzi, con “i guanti bianchi”, come un personaggio cui tutti “stendevano il tappeto rosso” come si legge in una intercettazione dell’amante Giuliana Cuna: «Ristoranti, champagne, dove andiamo, andiamo, voglio dire, su questo non posso dire niente… non mi fa mancare niente proprio, va e mi fa la spesa, mi riempie il frigo, non ti dico quante cose insomma… quando andiamo da qualche parte [mi dice] comprati quello, comprati quell’altro, mi ha comprato una borsa di 400 euro…»

Quando fu arrestato, nei giorni successivi, “c’era la processione a casa”, aveva risposto la moglie riferendosi al numero di persone (eccessivo) che erano andate a trovarla.

È stato grazie alla moglie [che secondo il Gip «ha il ruolo di cinghia di trasmissione delle informazioni e delle direttive organizzative del marito all’esterno»] e all’amante [latrice di messaggi, e non solo, nell’interesse del  clan] che Nocera, nonostante sia rinchiuso in Carcere, è riuscito a guidare il gruppo che si è preoccupato di ‘aiutare’ anche economicamente le due donne del capo finito in manette. “Si adoperavano subito ed in maniera quasi spasmodica alla ricerca di denaro da destinare alle necessità del detenuto e della sua famiglia” si legge. E del resto, diventare un collaboratore di giustizia, come tanti suoi ‘colleghi’ sarebbe stato per l’uomo troppo ‘infamante’.

Nocera – si legge nell’ordinanza – perfettamente consapevole del proprio carisma criminale e che non lesina certo ad autocelebrarsi anche con alla propria forza d’animo, preferirebbe mettere fine alla sua vita piuttosto che ‘cantare’.

«Devono imparare da me, devono farsi la galera… non gli piace la caramella?… però mai mai mai e poi mai, mi suicido, faccio prima… »

La moglie

Secondo il Gip, Livia Comelli forninva il suo contributo all’organizzazione capeggiata dal marito, fin dal giorno successivo al suo arresto, avvenuto il 18 gennaio 2018. Insomma, faceva da collegamento tra il capoclan, detenuto in Carcere e componenti liberi. “Digli di darsi da fare”, si legge nell’ordinanza. La donna era perfettamente a conoscenza della struttura personale dell’associazione, se vero che allorquando il marito le chiedeva “i ragazzi? Come stanno? … si comportano bene? … ti sono vicini? Vengono?”, non aveva perplessità alcuna nel rispondergli.

L’amante

Come si legge nell’ordinanza, Giuliana Cuna fungeva da collegamento tra l’amante detenuto e gli altri affiliati liberi, veicolando ordini, indicazioni e missive del capo. Non solo, avrebbe ricevuto somme di denaro per il pagamento delle bollette, delle spese quotidiane e di una multa. “Ti ho pagato, ti ho pagato … ti hanno pagato il verbale, ce le ho io le carte con la ricevuta” si legge in una intercettazione. Di più, la donna avrebbe cominciato a lavorare in una ditta, senza assunzione formale, anche grazie alla fama criminale di Nocera che gli aveva trovato una occupazione, impartendo disposizioni dal carcere, dove era detenuto. Lo confermerebbe un’intercettazione della Cuna: “sei una di noi mi ha detto (quello della ditta ndr)… mi tratteranno proprio bene …mi hanno detto di stare in ufficio però io non ne capisco di computer e di quelle cose, quindi mi metteranno all’allestimento fiori … sono proprio contenta oggi.. non devo [ancora] cominciare, ora devo andare lunedì perché oggi non c’era, però me l’ha proposto lui, mi ha detto: ti va bene là? Ho detto io: si, come no“. Anche in un’altra conversazione la donna avrebbe manifestato alla madre la gioia di cominciare il nuovo lavoro dove era stata mandata dall’ “amore“ suo.

«Sto contenta del lavoro, sono contenta … quattro ore faccio… ora vediamo quanto è di stipendio, che poi stavo parlando con quella ragazza e mi ha detto che è difficile entrare lì. Ha detto che nessuno entra lì, mi ha detto dovevi avere … in c … per entrare … meno male nà, mi ha fatto una cosa buona l’amore mio … »

Le lettere dal carcere

Le ‘indicazioni’ erano scritte, nero su bianco, in  alcune lettere (sequestrate). In due missive, in particolare, erano scritti chiari e precisi riferimenti alle dinamiche criminali del sodalizio, ai rapporti tra i consociati, all’assistenza economica ai detenuti attraverso i proventi delle attività illecite, alle intimidazioni e alle c.d. regole d’onore.

Nel “pizzino” destinato a Davide Conversano, ad esempio, Nocera prefigura la ‘minaccia’ di ritorsioni da compiere insieme: «se tutto va bene e la fortuna mi accompagna fra non molto esco. Perciò preparati che dobbiamo andare a divertirci un po’, sono sicuro che quando qualcuno saprà che sono uscito non sarà contento, qualcuno piangerà di dolore».



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