La continuità didattica per gli insegnanti di sostegno è un tema che tocca da vicino la quotidianità degli studenti “speciali”, ma è anche un terreno di confronto e, a volte, di scontro. Da un lato c’è chi sostiene che dietro questa parola, apparentemente semplice, si nascondono storie di fragilità e speranze, di famiglie che lottano perché i loro figli trovino non solo un’educazione, ma una guida costante che li accompagni lungo il loro cammino. Immaginate un bambino che, anno dopo anno, deve ricominciare ogni volta da capo, affrontando nuovi volti, nuovi metodi e contesti educativi che cambiano senza preavviso. Per molti altri, non è giusto che sia lasciato alle famiglia il potere di incidere su sistema scolastico che deve fare i conti con le esigenze di chi ogni giorno siede in aula con un bagaglio unico e irripetibile di bisogni e potenzialità.
Entrambe le esperienze raccontano un pezzo di verità che fatica a trovare un punto d’incontro. Questa dialettica tra continuità e cambiamento si intreccia in storie reali, come quella di G. raccontata in una lettera dai genitori. Nella missiva, indirizzata alla Dirigente Scolastica di un Istituto Comprensivo di un comune del basso Salento, la famiglia chiede di conoscere come mai il loro bambino abbia scoperto che non avrà più la sua maestra di sostegno a pochi giorni dal suono della prima campanella. La notizia è arrivata in silenzio, quasi di nascosto, dopo mesi di richieste, attese e promesse non mantenute. E così, a pochi giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico, resta soltanto l’amarezza per aver sperato in una risposta diversa. Amarezza che si è trasformata in una voce alzata, non per pretendere un privilegio, ma per rivendicare un diritto.
Nelle loro parole non c’è rabbia, ma la delusione di chi sperava che un percorso faticosamente costruito potesse trovare continuità. Lo scorso anno, con la maestra S., raccontano i genitori, si era costruito un rapporto prezioso, fatto di fiducia e piccole conquiste quotidiane.
Il nodo della questione è la continuità didattica, quell’anello di congiunzione tra un anno scolastico e l’altro che, soprattutto per studenti più vulnerabili, non è un dettaglio burocratico, ma un bisogno reale. La famiglia aveva presentato una domanda ufficiale per garantire che la stessa insegnante potesse seguire G. anche nel nuovo anno. Un modulo scarno, poche indicazioni, tante speranze.
Per un periodo, le risposte ufficiose sembravano positive. Poi, a pochi giorni dall’inizio della scuola, la doccia fredda: la conferma che l’insegnante non sarebbe stata accanto al bambino. Una comunicazione arrivata, secondo la versione dei i genitori, solo in forma informale e dopo numerosi solleciti a pochi giorni dall’inizio dell’anno scolastico.
La delusione, per questa famiglia, non riguarda solo la decisione, a loro dire incomprensibile e contraria all’interesse di uno studente con fragilità che si ritrova a tornare tra i banchi senza avere accanto ina figura “familiare”. È la sensazione di essere invisibili, ignorati da chi dovrebbe invece ascoltare, comprendere, sostenere. È la frustrazione di chi si trova davanti a porte chiuse quando chiede collaborazione, trasparenza, rispetto.
La lettera non accusa direttamente, ma racconta una sensazione dolorosa: quella di essere soli in una battaglia per i bambini che necessitano di stabilità e riferimenti chiari che dovrebbe essere condivisa da tutti.
Dal canto loro, le scuole si trova spesso stretta in vincoli normativi e organizzativi che non sempre lasciano margini di scelta. La carenza di personale, la complessità delle assegnazioni, le regole ministeriali: tutto questo pesa sulle decisioni, che a volte finiscono per scontrarsi con i desideri e i bisogni delle famiglie. Non è un semplice rimpallo di responsabilità, ma la fotografia di un sistema che fatica a garantire ciò che promette sulla carta.
La lettera dei genitori di G. è richiesta chiara: quella di una scuola che sappia parlare di più, spiegare di più, ascoltare di più. Una scuola che, pur nelle sue difficoltà, sappia far sentire le famiglie parte di un percorso e non spettatori passivi.
In fondo, ciò che chiedono mamma e papà non è un privilegio, ma un diritto: il diritto per loro figlio di iniziare l’anno scolastico con la serenità che tutti i bambini meritano.
E forse, proprio da qui, può nascere una riflessione più ampia: che la continuità non è solo un fatto burocratico, ma un patto di fiducia tra scuola, famiglie e studenti. Un patto che, quando si spezza, lascia ferite profonde, ma che, se coltivato, può trasformarsi nella forza più grande della comunità educativa.
