Titolare della pizzeria ‘contagiato’ dai tifosi dell’Alatanta? La sorella: “La colpa non è nostra, ma di chi li ha autorizzati a venire”

La sorella del titolare della pizzeria contagiato ha voluto fare alcune precisazioni sulle voci di possibili contatti con tifosi dell’Atalanta provenienti da Bergamo.

«Se la trasferta dei tifosi dell’Atalanta è stata autorizzata dalle autorità competenti, non sarebbe stato ‘discriminatorio’ vietargli l’ingresso nel nostro locale? Dovevamo chiedere la provenienza ai nostri clienti senza una disposizione ad hoc? Quand’anche ci fosse stata gente con un accento diverso come facevamo a sapere che, effettivamente, provenivano da Bergamo? E poi si parla di pranzo, ma il locale è aperto solo di sera». Sono alcune ‘considerazioni’ della sorella del titolare della pizzeria risultato positivo al coronavirus.

Se sulla pagina Facebook del locale, a due passi dal centro storico di Lecce, non si contano i messaggi di solidarietà per questa famiglia toccata da vicino dall’emergenza, sulle chat e su whatsapp continuano a circolare audio e foto che ‘accusano’ i supporter della Dea di aver ‘portato’ il covid-19 nel capoluogo barocco, mangiando nel locale finito sotto i riflettori. Ricostruzioni che, con l’Organizzazione Mondiale della Sanità che parla di pandemia, è difficile confermare.

La donna è preoccupata per il fratello, per la cognata con la febbre rimasta da sola in casa ad accudire due bambini. Teme per la salute della mamma, non più tanto giovane d’età, e per la sua famiglia, in isolamento domiciliare. «Nonostante non vediamo mio fratello da più di 15 giorni –  precisa – la paura c’è sempre visto che non conosciamo nulla sull’evoluzione di questo virus. Viviamo una situazione di incertezza. Siamo distanti, ma uniti, ci sentiamo continuamente per telefono».

Non ci sono solo i timori, la donna – così come tutta la famiglia – si è ritrovata a dover ‘gestire’ anche le voci, le accuse. L’ultima? Quella di aver fatto entrare nel loro locale gente di Bergamo. “Presumibilmente”.

«È incredibile notare – scrive – come nonostante i miei familiari siano vittime di decisioni istituzionali scellerate e di un sistema inefficiente ora vengono “colpevolizzati”». Da qui le precisazioni:

  1. Se l’ingresso nella nostra città dei tifosi di Bergamo è stato autorizzato dalle autorità competenti, in assenza di disposizioni limitative imposte agli esercenti commerciali, un diniego di ingresso sarebbe o no discriminatorio?
  2. in ogni caso, quando qualcuno entra in un locale commerciale non mi sembra che sia prassi chiedere la provenienza, diversamente sarebbe stato, se ci fosse stata una disposizione ad hoc.
  3. si parla di pranzo, ma il locale è aperto solo di sera.
  4. quand’anche ci fosse stata gente con un accento diverso, non è dato sapere se, effettivamente, fossero di Bergamo.

Poi l’osservazione, giustissima, sacrosanta. «Ci piacerebbe sapere dove hanno alloggiato questi tifosi, in quale bar hanno preso caffè, dove hanno comprato un giornale, e così via. Come si può ben notare la catena è lunga, il contagio può avvenire ovunque. Pertanto, invito tutti ad esemirsi dal diffondere dichiarazioni alterate che possono ledere l’immagine della mia famiglia. Concludo ringraziando tutti gli amici che ci sono stati vicini anche con messaggi privati. Ci sarà il tempo delle polemiche, ora pensiamo a guarire ed a superare questo inferno. Siamo tutti nella stessa barca».



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