Dalla cura con il plasma iperimmune al giallo su Facebook, De Donno rompe il silenzio

Il primario del Poma di Mantova è tornato su facebook per spiegare il motivo del suo silenzio. Per ore il profilo oscurato aveva alimentato teorie complottiste.

La cura con il plasma iperimmune in grado di battere il Coronavirus ha il ‘volto’ del professor Giuseppe De Donno, primario dell’Ospedale Carlo Poma di Mantova diventato il simbolo della possibile terapia contro il Covid19. Da giorni non si parla d’altro, forse per la ‘necessità’ di trovare al più presto una via d’uscita in attesa del vaccino, ancora lontano, forse perché il medico pneumologo, in più occasioni, ha parlato con “entusiasmo” dei risultati incoraggianti ottenuti con il protocollo messo a punto con il policlinico San Matteo di Pavia. «Pur di salvare vite umane usiamo tutti i farmaci che danno speranza. Non trascuriamo niente, ma altrettanto dovrebbero fare i colleghi impegnati nella lotta. E usare il plasma iperimmune, cura che abbiamo testato sui malati di Covid19 e sono guariti» aveva raccontato in una intervista alla Verità.

Dalle speranze alle polemiche, il passo è stato breve. E come sempre è il non-detto ad alimentare la querelle, soprattutto sui social. La tesi più ‘condivisa’ sui social (e non per questo vera) parte dal fatto che quella cura, poco costosa (ogni sacca da 600ml costa 164 euro. Per un paziente sono sufficienti 300 ml, quindi 82 euro a terapia), poteva dare fastidio alle grandi industrie farmaceutiche che contano sul vaccino. “Se sono tanti per salvare una vita non ho capito nulla della medicina” aveva dichiarato non riuscendo a nascondere l’amarezza. “Questa sperimentazione è una chance che può cambiare la sorte di questa epidemia e dei pazienti”, aveva raccontato, dimostrandosi pronto a chiedere scusa in caso di errore.

Come si è arrivati al complotto? La Teoria è partita da alcune parole di De Donno, originario di Maglie «Secondo me – aveva dichiarato – sarebbe meglio che i politici sentissero di più gli ospedalieri, quelli che vivono a contatto con le malattie. Sto cercando, con fatica, di creare un Polo di ricerca indipendente ed etico perché non se ne può più di questi universitari che fanno ricerca con fondi esclusivamente privati e di conseguenza fortemente condizionata» aveva raccontato parlando della necessità di dare più voce ai medici e ai dottori in  prima linea, non a quelli che “passano il tempo nei salotti”, alle persone che passano 16 ore in Ospedale e guardano i pazienti negli occhi.

E perché è diventatoo un giallo? Semplice, il profilo su Facebook del professore era sparito. L’account del primario non era più raggiungibile Ma “scomparso” non significa che sia stato azzittito, come è stato detto né censurato, come si è urlato. Si è trattato di un allontanamento volontario, di un silenzio-stampa cercato forse per spegnere i riflettori che stavano accecando la capacità di giudizio.

In un video ha spiegato che non cerca visibilità per sé, ma per il plasma convalescente.

«Carissimi, la vostra vicinanza in questi giorni, mi ha commosso. Io non cerco visibilità. Volevo visibilità per il plasma convalescente. Oggi una marea montante di ASST, città e regioni promuovono il nostro protocollo, identico o modificato nella forma ma non nella sostanza. Di questo ne sono orgoglioso, assieme ai miei Colleghi ricercatori. Molte Regioni stanno partendo con la istituzione di banche di plasma convalescente» si legge.