Denim Day, un jeans per dire no alla violenza sulle donne

Nel 1999 un uomo fu assolto dall’accusa di stupro nella controversa sentenza dei jeans. Ecco come nasce il denim day, celebrato l’ultimo mercoledì di aprile

Il nome, Denim Day, potrebbe far pensare ad una giornata dedicata ad uno dei capi più famosi al mondo, l’intramontabile jeans che non manca mai nell’armadio. La ricorrenza, nata negli Stati Uniti, affonda le sue radici a Potenza finita sotto i riflettori per una sentenza della Corte di Cassazione che aveva annullato la condanna per stupro ad un istruttore di guida perché la vittima, una ragazza di 18 anni, indossava jeans attillati. “Impossibili da sfilare senza la sua collaborazione”, si leggeva. Insomma, la ragazza di Bella, duemila anime in provincia di Potenza, indossava dei pantaloni “troppo stretti” per essere tolti senza il suo consenso, quindi non fu stupro. In realtà l’unica cosa «impossibile» era dimenticare.

La ‘sentenza dei jeans’

Il Denim Day, la giornata mondiale contro la violenza alle donne, nasce in California nel 1999, quando Patti Giggans, presidente di “Peace over violence”, pensò alla ricorrenza per protestare contro la sentenza italiana.

Era il 12 luglio 1992, l’istruttore – sposato e padre di famiglia – era passato a prendere la ragazza da casa per una lezione di guida. L’orologio aveva da poco segnato le 12.30. Stando al racconto della 18enne, dopo averla fatta guidare lungo le strade di Muro Lucano, un paese vicino, l’ insegnante si mise al volante dell’auto e, con la scusa di dover andare a prendere un’ altra ragazza che abitava fuori mano, imboccò una strada di campagna fino ad un castagneto, dove si sarebbe consumata la violenza. L’istruttore, stando alla denuncia, vinse a suon di schiaffi la sua resistenza. Una volta finito, la riaccompagnò a casa e la minacciò perché non raccontasse nulla. Lei, dopo i primi attimi di smarrimento, riferì tutto al padre che l’accompagnò in Caserma per raccontare l’accaduto.

L’uomo, dal canto suo, si difese dicendo che la ragazza fosse consenziente. Nel processo di primo grado, fu assolto “per insussistenza del fatto”. In appello, fu condannato a due anni e due mesi di reclusione. Ma è la sentenza della Cassazione che rimarrà tristemente famosa. L’istruttore fu assolto perché i jeans aderenti non si possono sfilare facilmente. E di certo è impossibile riuscirvi se la vittima si oppone “con tutte le sue forze al violentatore”. Insomma, non si trattava di stupro.

Da quel momento, indossare jeans l’ultimo mercoledì di aprile è diventato un segno di protesta, un modo per dire che per nessun abbigliamento può giustificare la violenza. Un jeans attillato, come una gonna corta, non dovrebbe essere usato per dire “te la sei cercata”.



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