Un colpo da un milione di euro studiato nei minimi dettagli, i particolari sul furto al caveau della Bnl

Le indagini a opera della Squadra Mobile di Lecce, hanno consentito di emettere un provvedimento restrittivo nei confronti di quattro persone a oltre due anni di distanza dall’accaduto.

A più di due anni dal furto all’interno del caveau della Banca Nazionale del Lavoro in Piazza S. Oronzo nel novembre del 2018, oggi, sembra essere stata messa la parola fine alla vicenda.

Nel corso della nottata appena trascorsa, a conclusione di una serie di articolate investigazioni, agenti della Squadra Mobile di Lecce, diretta dal Vicequestore Alessandro Albini, insieme ai colleghi del Servizio Centrale Operativo, in collaborazione con il personale del Servizio Cooperazione Internazionale Polizia, del Commissariato di Polizia di Formia (in provincia di Latina) e della sezione Polizia Postale di Lecce hanno dato esecuzione a un’ordinanza applicativa di misura coercitiva personale di custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce su richiesta della Procura della Repubblica, nella persona del Pubblico Ministero Maria Vallefuoco, nei confronti di 4 persone ritenute responsabili del furto consumato l’11 novembre 2018.

Gli arrestati

Sono stati colpiti dal provvedimento restrittivo, Piero Fiore, 47 anni di Veglie; Luciano Romano, 44 anni napoletano residente a Formia; Salvatore Mazzotta 51 anni originario di Copertino ma residente a Veglie e Marco Salvatore Zecca, 46 anni di Veglie. Nello specifico i primi due sono finiti in carcere, gli altri ai domiciliari.

Le indagini

Le complesse e articolate indagini condotte dagli investigatori della Squadra Mobile del capoluogo salentino e dagli uomini del Servizio Centrale Operativo, hanno preso il via la sera dell’11 novembre del 2018, immediatamente dopo il furto e hanno consentito (anche grazie all’operato del personale della Polizia Scientifica, che ha estratto dal materiale sequestrato sul posto un profilo genetico, riscontrandone poi la piena rispondenza con quello di Fiore), di addebitare precise responsabilità penali in ordine al reato di furto pluriaggravato in concorso nei confronti dei quattro.

In particolare lo scenario che si è presentato agli investigatori intervenuti ha fatto pensare a un colpo studiato nei minimi particolari, portato a segno da più persone, alcune delle quali con ottime conoscenze nel campo dell’allarmistica, avendo neutralizzato completamente l’impianto di allarme. La porta di accesso ai locali antistanti il caveau e la stessa porta blindata di accesso al vano, erano state aperte e diverse cassette erano state forzate. Apparentemente nessuna delle porte di accesso all’istituto risultava essere stata divelta. Sul pavimento della sala antistante il Caveau sono stati trovati quattro borsoni contenenti arnesi da scasso, gioielli e denaro e altri borsoni vuoti, abbandonati verosimilmente a causa di un imprevisto che ha accelerato la fuga dei malviventi e, nello specifico, probabilmente dall’arrivo sul posto della vigilanza privata allertata dalla direzione per il prolungato distacco di rete in agenzia. All’esito della repertazione degli oggetti rinvenuti nel caveau e dell’escussione dei vari titolari di cassette violate si è stimato un danno complessivo di circa 1.000.000 di euro.

Gli investigatori, coordinati dal Pubblico Ministero Maria Vallefuoco, per oltre due anni di indagini serrate, eseguite con l’ausilio di numerose verifiche, accertamenti, confronti, pedinamenti, intercettazioni ambientali e telefoniche, svolte insieme al personale dello Servizio Centrale Operativo della Capitale, hanno raccolto ed elaborato materiale probatorio di notevole rilevanza, che ha poi di emettere il provvedimento restrittivo.

La ricostruzione del furto

Dalle ricostruzioni degli inquirenti è stato rilevato che uno o più malviventi il venerdì antecedente alla chiusura della filiale, sono riusciti ad aver accesso all’area caveau e quindi rimanere chiusi all’interno proprio dell’area preziosi.

Ad avvalorare questa ipotesi la presenza, all’interno, di un armadio metallico semi vuoto, capace di nascondere una persona di media altezza, facendo in modo che la sua presenza non fosse rilevata dai sensori di movimento; inoltre è risultata evidente sin da subito la manomissione dall’interno del sistema Time Look che non consente l’apertura della porta blindata prima di un determinato orario, in questo caso impostato per l’ora di apertura degli uffici, tale manipolazione ha dato modo ai complici all’esterno di aprire la porta corazzata.

Nel corso del sopralluogo è stato altresì riscontrato che i cavi di trasmissione del segnale degli impianti al router UMTS (strumento che consente la trasmissione dei dati dell’impianto di allarme e di videosorveglianza verso l’esterno in caso di assenza di rete) erano stati tranciati.

L’iniziale mancanza di indizi su determinate persone, sulle quali focalizzare gli approfondimenti investigativi, ha imposto un’indagine ad ampio spettro che non tralasciasse alcun possibile indizio.

L’analisi dei filmati

Un primo fondamentale spunto è arrivato dall’analisi delle immagini delle telecamere di sorveglianza della città. Inizialmente sono state esaminate quelle della zona intorno alla banca, ampliando il cerchio man mano che sono emersi indizi, sino ad estrapolare le immagini di quelle poste in punti di transito strategici della città.

Proprio questa attività di analisi dei video ha consentito di isolare alcuni veicoli, che nei giorni di esaminati  sono stati visti muoversi in diversi punti del capoluogo sempre procedendo l’uno dietro l’altro.

Proprio in questo contesto sotto la lente degli inquirenti sono finiti tre veicoli, un Doblò Fiat, di colore bianco, intestato al figlio di Piero Fiore, una Fiat Punto di colore bianco, intestata a una società campana e infine una Peugeot 1007, intestata alla moglie di Luciano Romano, entrambi già noti alle Forze dell’Ordine, poiché coinvolti in episodi analoghi.

Indirizzate quindi le investigazioni nei confronti dei due e di altri loro sodali, sono state avviate una serie di attività tecniche che all’esito hanno permesso di acquisire al procedimento una serie di precisi  elementi di prova  in capo ai 4 indagati, tutti elementi che hanno poi trovato inequivocabile conforto  nella positiva comparazione di un  profilo genetico estratto da più oggetti sottoposti a sequestro nell’immediatezza dei fatti la sera dell’11 novembre 2018 e poi risultato perfettamente compatibile con quello di Fiore, consentendo al magistrato titolare delle indagini di richiedere al Gip, l’applicazione della misura cautelare personale restrittiva nei confronti dei quattro indagati.

Mazzotta, nel frattempo allontanatosi dal territorio italiano, grazie all’attività della Direzione Centrale Polizia Criminale – Servizio Cooperazione Internazionale di Polizia – tramite rete ENFAST austriaca (European Network Active Searching Teams) – è stato localizzato in territorio austriaco e precisamente nella città di Linz e si sta procedendo in queste ore al suo arresto.

Romani, invece, unitamente a personale del Commissariato di Polizia di Formia, peraltro più volte già impegnato anche nel corso delle indagini in servizi di appostamento e pedinamento, è stato catturato nella sua villa nella cittadina in provincia di Latina e nel corso della perquisizione domiciliare, all’interno di una cassaforte, sono stati rinvenuti e sequestrati centinaia di monili d’oro, oltre a un captatore di frequenze, il tutto al vaglio degli inquirenti.

La perquisizione effettuata invece presso l’abitazione di Zecca, ritenuto l’informatico del gruppo, eseguita in collaborazione con i colleghi della Polizia Postale e delle Comunicazioni della sezione di Lecce, ha permesso di sequestrare svariati hard disk   e apparecchi cellulari.

L’intera attività è stata coordinata dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato.



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