Morire solo per essersi trovato nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. Si può raccontare così la storia di Gaetano Marchitelli, ucciso per errore durante una sparatoria tra clan rivali della criminalità di Carbonara. Oggi sarebbe un uomo se la sua vita non si fosse fermata quella sera d’autunno. Era il 2 ottobre 2003 e la sua unica colpa è stata quella di finire al centro di una sparatoria.
Non doveva più succedere dopo Michele Fazio, ucciso, in una sera d’estate come tante, il 12 luglio 2001. Michele aveva 16 anni e un sogno chiuso in un cassetto, quello di diventare un carabiniere, perché il bar dove lavorava era frequentato dalle forze dell’ordine e si sentiva orgoglioso a servir loro il caffè. I killer si rendono conto di aver condannato un innocente. “Sim accis o uagnon bun” (abbiamo ucciso un ragazzo buono), avrebbero detto poco dopo aver premuto il grilletto.
L’omicidio
Anche Gaetano era un ragazzo per bene. Di giorno studiava, ma di sera metteva da parte i libri per aiutare la famiglia, Quella notte, come sempre, stava lavorando come garzone in una pizzeria del quartiere di Bari per guadagnare una piccola paga che gli consentiva di non pesare troppo sulle spalle dei genitori. Una giornata come tante quando, poco dopo le 23.00, un commando di malavitosi scatenò l’inferno per colpire alcuni ragazzi del clan rivale fermi davanti al locale. Non appena la pioggia di proiettili finisce, si scopre che a terra è rimasto il 15enne, colpito alla schiena da uno di quei colpi destinati ad altri e che non gli lascia scampo. Vittima innocente di una guerra per il controllo del territorio.
Nel buio di quella notte si farà strada una luce.
Grazie al racconto dei testimoni, si ricostruisce l’accaduto, cominciando dai veri obiettivi, due fratelli che hanno usato Gaetano come scudo umano per pararsi dai colpi. Pezzo dopo pezzo per l’omicidio sono stati condannati i due sicari e l’uomo che era alla guida dell’auto.
«Gaetano ne aveva solo 15 quando l’hanno ammazzato, qualcuno dice che quella sera era nel posto sbagliato. Ma in realtà non esistono posti sbagliati, perché ognuno di noi deve essere libero di andare dove vuole. Esistono, invece, persone sbagliate, quelle che lo hanno ucciso, persone per le quali la vita degli altri, la vita di un innocente, non vale niente» ha dichiarato il sindaco Antonio Decaro, in una delle cerimonie di commemorazione.
Non doveva più succedere, ma accadrà ancora a Giuseppe Mizzi che ha pagato con la vita un tragico scambio di persona. Quel 16 marzo del 2011 era uscito per comprare un pacchetto di sigarette e stava tornando a casa dalla sua famiglia, da sua moglie e dai suoi figli, quando a pochi passi dalla piazza principale del quartiere alla periferia di Bari viene freddato con sei colpi di pistola alle spalle. Perché era stato ammazzato in quel modo uomo onesto, un umile lavoratore? Per un errore. Il destinatario dei proiettili era pregiudicato che i sicari dovevano fare fuori per vendetta. L’ordine era sparare a qualcuno del clan rivale. “Il primo che trovate”, dissero.
