Ottiene i domiciliari per motivi di salute, Michele Coluccia coinvolto nel blitz che portò a 13 arresti, tra cui anche quello dell’ex sindaco di Neviano, Antonio Megha. Il Tribunale del Riesame ha accolto l’Appello presentato dall’avvocato Francesco Vergine. Il 63enne di Noha ora si trova ai domiciliari per incompatibilità del regime carcerario con le sue condizioni di salute. La decisione è maturata sulla scorta della consulenza effettuata dal dottore Marino Torsello, nel carcere di Prato (dove Coluccia era detenuto). La difesa aveva nominato come consulente di parte, il dottore Francesco Faggiano.
Nei giorni scorsi, intanto, è arrivato l’avviso di conclusione delle indagini a firma del pubblico ministero Carmen Ruggiero. E tra le varie accuse contestate a Coluccia vi è quella del voto di scambio politico mafioso, in concorso con l’avvocato Antonio Megha, 62 anni, ex sindaco di Neviano ed assessore alla cultura dimissionario (tuttora agli arresti domiciliari), e con il mediatore Nicola Giangreco, 54 anni di Aradeo.
Secondo l’accusa, in cambio della promessa di Michele Coluccia formulata per il tramite di Giangreco di procacciare in suo favore almeno cinquanta voti, Megha si prodigava nella elargizione di tremila euro in tre distinte tranches. Inoltre, si impegnava a rappresentare gli interessi del clan nel territorio calabrese adempiendo a qualsiasi incombenza e nell’assunzione del figlio del capo clan Michele all’interno di un’azienda che operava nel settore della raccolta dei rifiuti urbani.
I 18 indagati rispondono a vario titolo delle accuse di: associazione di tipo mafioso, usura, estorsione, spaccio di sostanze stupefacenti.
L’indagine si è sviluppata nei territori di Galatina, Aradeo, Neviano, Cutrofiano e Corigliano d’Otranto ed è stata condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo di Lecce, dalla primavera del 2019 sino all’inizio del 2021.
Nello specifico, l’azione illecita del sodalizio mafioso si sarebbe esplicata attraverso l’attività di prestito di denaro a usura, accompagnata da estorsioni, imposizioni di versamento del cosiddetto “punto cassa” per l’esercizio dello spaccio di droga, oltre che dalla gestione di commissioni apparentemente lecite, quali la sottoscrizione di contratti assicurativi o fornitura di energia elettrica.
