
Il conflitto culturale tra Stati Uniti e mondo cattolico ha dei precisi fondamenti storici e risponde perfettamente alle logiche che vedono contrapposti il colonialismo americano all’evangelizzazione cristiana.
Nessuno come la Chiesa cattolica ha lavorato a difesa dei diritti dei pellerossa, anzi i Papi sono stati i primi alleati degli indiani d’America.
Lo storico Franco Cardini, tra i massimi studiosi al mondo di storia medievale e moderna, non ha esitazioni nell’affermare che: “nel mondo protestante non c’è nessun missionario che sia riuscito a combattere ingiustizia e violenza con lo stesso successo con cui l’hanno fatto i cattolici: e difatti nell’America settentrionale e Oceania si sono avuti sistematici genocidi su larga scala, messi in atto soprattutto da inglesi e olandesi, che non trovano riscontro invece nell’America meridionale.”
Anche qui vi furono stragi e razzìe di schiavi ma si dovettero fare i conti con vescovi cattolici che difesero i nativi a viso aperto, spesso accettando insieme a loro la persecuzione. Il più famoso di costoro è senza dubbio il domenicano Bartolomeo de Las Casas.
Il genocidio dei nativi americani resta una ferita ancora aperta, potremmo definirla la questione americana per eccellenza, uno stigma ben visibile come un marchio di fuoco sull’epidermide della storia degli Stati Uniti, un evento tragico che ha avuto ripercussioni pesanti nei rapporti culturali tra America e mondo cattolico, e mentre il Sud America è stato ed è ancora il fortino del cattolicesimo mondiale, il Nord America si rivela tutto il contrario, palesando storicamente contrasti e incomprensioni con la Chiesa di Roma. Non è un caso che molti scandali che hanno interessato gli ambienti ecclesiastici abbiano avuto proprio una matrice statunitense.