
Lucio Marzo dovrà scontare 18 anni e 8 mesi in carcere. È questa la condanna anche in Appello per aver ucciso Noemi Durini, picchiandola a mani nude, ferendola con un coltello con una violenza tale che la punta si è spezzata nella nuca e coprendola con delle pietre di un muretto a secco quando era ancora viva, così come stabilito dall’autopsia.
Si chiude senza sconti di pena il processo di secondo grado che scrive un altro capitolo del delitto di Specchia. Un omicidio che ha scosso l’intero Salento. Quel Salento che per dieci lunghissimi giorni ha cercato Noemi viva, salvo arrendersi dopo la confessione del fidanzato della studentessa che ha condotto gli uomini in divisa nella campagna di Castrignano del Capo, dove l’aveva abbandonata alle prime luci dell’alba di quel maledetto 3 settembre 2017.
Anche in primo grado, il ragazzo di Montesardo – all’epoca 17enne – era stato condannato dal Tribunale dei Minori a 18 anni e 8 mesi di reclusione. Omicidio volontario (con le aggravanti di aver commesso il fatto con premeditazione, per motivi abietti e futili e di aver agito con crudeltà) era l’accusa che gli era costata una sentenza “pesante”. Quasi il massimo della pena, visto che il processo si era svolto con il rito abbreviato che garantisce lo sconto di un terzo all’imputato.
Pena confermata in toto anche in Appello. Questa la decisione del Collegio in sezione promiscua [Presidente Maurizio Petrelli, a latere Laura Liguori, relatore Alessandra Ferraro].
Il viceprocuratore generale Salvatore Cosentino, come pubblica accusa, ha ricostruito in aula il terribile omicidio, invocando alla fine della sua requisitoria la conferma della condanna. Ha parlato di una “lucida programmazione”. Lucio avrebbe tentato di “fingersi pazzo”, ma la follia è stata solo un pretesto per non assumersi le sue responsabilità.
L’avvocato Luigi Rella, che difende il giovane presente in aula (portato a Lecce dal carcere di Quartuccio, in Sardegna, dov’è detenuto), aveva chiesto invece una nuova perizia psichiatrica e in subordine la messa alla prova o le attenuanti generiche. In caso di condanna, come è avvenuto, l’esclusione delle aggravanti e attenuanti generiche.
“Se li deve fare tutti, e in galera, perché Lucio è capacissimo di intendere e volere. Non basterebbe una vita per quello che ha fatto a mia figlia” aveva dochiarato mamma Imma, prima dell’inzio del processo.