Truffa ai danni di un cliente? Denuncia in Procura nei confronti di “Mercatone Uno”

Un consumatore salentino, che aveva acquistato un bene mobile presso un punto vendita, ha presentato un’articolata querela.

Nella nota vicenda della crisi del Mercatone Uno che, nel maggio scorso, dopo la dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Milano vide l’improvvisa chiusura di tutti i punti vendita con oltre 1800 dipendenti lasciati fuori dagli stabilimenti, arriva la reazione dei consumatori che non ci stanno a perdere definitivamente le somme versate per merce che, presumibilmente, non riceveranno mai più.

Così, un consumatore salentino, che aveva acquistato un mobile presso un punto vendita, ha querelato per truffa l’amministratore della società, risultata cessionaria dei compendi aziendali facenti capo al Gruppo Mercatone Uno, nei cui confronti il Ministero dello Sviluppo Economico aveva disposto nel 2015 l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria.

La querela giunge a pochi giorni dalla comunicazione del curatore fallimentare in ordine alla risoluzione di tutti i contratti sottoscritti con i consumatori (oltre 10.500 clienti in tutta Italia che hanno versato somme per 4,5 milioni di Euro), che porterà alla vendita in blocco di tutti i beni mobili presenti nei vari punti vendita sparsi in Italia, ma sul cui ricavato i consumatori, quali semplici creditori chirografari, avranno una possibilità di rivalersi prossima allo zero, stante l’impressionante mole debitoria.

Secondo il legale, l’avvocato Giancarlo Sparascio, «certamente illecito appare il contegno che ha consentito la conclusione di ulteriori contratti nei punti vendita in un momento (nel caso di specie, il 20 aprile 2019) in cui era ampiamente noto ed irreversibile lo stato di insolvenza della società, anche alla luce di quanto emergente dalla domanda di ammissione al concordato preventivo avanzata dalla medesima in data 11 aprile 2019 innanzi al Tribunale di Milano, mentre peraltro erano già pendenti innanzi allo stesso Tribunale ben tre istanze volte alla dichiarazione di fallimento con udienze fissate il 7 maggio 2019».

Sicché, prosegue il legale, «l’amministrazione era perfettamente a conoscenza dell’impossibilità di onorare i contratti con i consumatori. Almeno dal mese di dicembre del 2018, momento nel quale (per stessa ammissione della società) era divenuto impossibile reperire la merce dai fornitori in ragione della totale assenza di linee di credito, mentre a far tempo dal 2 marzo 2019 era venuto meno anche il rapporto contrattuale con il principale partener commerciale, tanto da indurre la società ad avanzare istanza di concordato preventivo mentre erano già pendenti tre domande di declaratoria di fallimento; circostanze che avrebbero dovuto immediatamente deporre per l’astensione da parte di tutti i punti vendita dalla conclusione di contratti che la società non avrebbe potuto eseguire ab origine e che tuttavia hanno comportato in capo ai consumatori l’esborso di acconti o il versamento dell’intero prezzo per l’acquisto di merce che non riceveranno mai, al pari della restituzione del denaro».

«Tutto ciò senza peraltro che gli organi dell’amministrazione straordinaria preposti al controllo dell’esecuzione del programma, operanti sotto la vigilanza del Mise, segnalassero alcunché per i provvedimenti di conseguenza, quali la richiesta di conversione in fallimento al fine di impedire l’aggravarsi della situazione di dissesto, considerato altresì che il secondo piano industriale approvato in fretta e furia a ridosso del 9 agosto 2018 già destava forti dubbi di sostenibilità finanziaria tanto che in soli 10 mesi di attività ha generato quasi 100 milioni di Euro di disavanzo e perdite mensili superiori ai 5 milioni» ha concluso il legale.



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