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Morte di un bracciante sudanese, due imputati a processo per caporalato

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Finiscono sotto processo, i due imputati coinvolti nell’inchiesta sulla morte di un bracciante sudanese.

Il gup Giovanni Gallo ha rinviato a giudizio Giuseppe Mariano, 80 anni, di Porto Cesareo, marito della titolare dell’azienda agricola e Mohamed Elsalih, 39enne originario del Sudan, che avrebbe svolto il ruolo di mediatore negli arrivi in Salento dei braccianti. Dovranno presentarsi il 22 giugno per l’inizio del processo, dinanzi al giudice monocratico Bianca Todaro.

Rispondono delle accuse di caporalato (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) e omicidio colposo per la morte di Mohammed Abdullah, 49enne, lavoratore stagionale originario del Sudan. Sono assistiti rispettivamente dagli avvocati Antonio Romano e Ivana Quarta (sostituita oggi in udienza dall’avvocato Giuseppe Sessa).

In una precedente udienza, il giudice ha accolto la richiesta di costituirsi parte civile per la moglie e i figli della vittima, la Cigl, la Cidu (Centro Internazionale Diritti Umani). Sono assistiti dagli avvocati Cinzia Vaglio, Viola Messa, Paolo D’Amico e Cosimo Castrignanò. Non solo, anche per la Mutti e Conserve Italia (collegata alla Cirio), difese dai legali Anna Grazia Maraschio e Vincenzo Muscatiello.

Le indagini

Le indagini coordinate dal pm Paola Guglielmi si sono avvalse della consulenza di un perito informatico, sui contatti telefonici del mediatore senegalese. Gli accertamenti sono stati condotti dai carabinieri del Ros e dagli ispettori dello Spesal che in tutti questi mesi hanno effettuato numerosi sopralluoghi nelle campagne di Nardò e nella località “masseria Boncuri”, sentendo datori di lavoro, braccianti e semplici testimoni.

I militari hanno cercato di ricostruire anche la cosiddetta “filiera”. Dunque, hanno svolto nel corso delle indagini, accurati accertamenti per verificare la destinazione finale del prodotto. Si è provveduto all’acquisizione documentale di bolle di accompagnamento e fatture per il trasporto delle merci. I pomodori erano destinati ad importanti imprenditori attivi nell’industria conserviera, sia in Puglia che in altre Regioni italiane. Al termine degli accertamenti, occorre sottolineare, non sarebbe però emersa da parte di questi imprenditori, alcuna consapevolezza delle condizioni di lavoro disumane dei braccianti agricoli, impegnati nella raccolta dei pomodori.

L’episodio

Mohammed Abdullah, 47enne originario del Sudan è morto intorno alle 14.00 del 20 luglio 2015, nelle campagne tra Nardò e Avetrana, orario in cui la colonnina di mercurio segnava una temperatura prossima ai 40 gradi: il bracciante, un lavoratore stagionale impegnato nella raccolta dei pomodori, ha avvertito un malore ed i colleghi di lavoro lo hanno immediatamente messo al riparo sotto un albero, affinché non rimanesse sotto i raggi del sole.

Quando i sanitari del 118 sono arrivati sul luogo il cittadino sudanese era già deceduto e secondo quando stabilito dai medici, la morte è stata causata da un infarto, come confermò l’autopsia del medico legale Roberto Vaglio.

Richiesta di archiviazione

Il pm Guglielmi ha, invece, chiesto l’archiviazione del procedimento per Rita De Rubertis, la titolare dell’azienda, iscritta nel registro degli indagati per omicidio colposo. Non solo, anche per un avvocato (rispondeva dell’ipotesi di reato di esercizio abusivo della professione) e un funzionario della segreteria dell’Ordine (l’accusa era di interruzione di pubblico servizio). Il primo, nominato di ufficio in vista dell’autopsia, avrebbe omesso di comunicare tempestivamente di non esercitare più la professione; il secondo, non avrebbe aggiornato gli elenchi dell’Ordine. Le accuse sono “cadute” in seguito ad accertamenti investigativi.



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