La storia di Natale Mondo, il poliziotto “infame” ucciso dalla mafia

La storia di Natale Mondo, il braccio destro di Ninni Cassarà ucciso il 14 gennaio del 1988: le accuse infamanti e l’omicidio davanti al negozio della moglie

«Siamo morti che camminano per Palermo», disse una volta Ninni Cassarà, il vice dirigente della Squadra Mobile ucciso in un agguato firmato da Cosa Nostra. Era il 6 agosto 1985 quando il Commissario morì tra le braccia della moglie, sui gradini del portone della sua abitazione al civico 81 di via Crocerossa, dove si era trascinato. Stessa sorte toccò ad un agente della sua scorta, Roberto Antiochia che aveva cercato, invano, di proteggerlo. Duecento colpi di Kalasnikov non lasciano scampo, ma Natale Mondo, da anni l’ombra del vice-questore, si salvò per miracolo gettandosi sotto l’auto.

La mafia, però, non lascia conti in sospeso e soprattutto non dimentica. La vendetta si presenta il 14 gennaio 1988, quando il poliziotto – che aveva fatto parte del cosiddetto “avamposto degli uomini perduti”, la squadra che dava la caccia ai latitanti più pericolosi della Sicilia – fu ucciso non lontano dal negozio di giocattoli gestito dalla moglie. Mondo, che aveva già incrociato lo sguardo della morte due anni e mezzo prima, questa volta cade davanti alle pistole calde e pronte a sparare ancora. A nulla è servita la calibro 38 che l’agente nascondeva nella cintura perché temeva per la sua vita.

La mafia non perdona

Natale Mondo sapeva di camminare in compagnia della morte, sempre alle spalle come un’ombra. Dopo la strage che aveva “tolto di mezzo” Cassarà, era stato indagato per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti e sbattuto in cella, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere anche per il caso Marino, il giovane calciatore sospettato di aver partecipato all’omicidio di Beppe Montana.

L’accusa era pesante: quella di essere stato una “gola profonda”, di aver passato informazioni a Cosa Nostra sugli spostamenti del Commissario. Per questo suo presunto «doppio gioco» i sicari gli avrebbero risparmiato la vita. Si era salvato, e questo ‘miracolo’ era stato visto con sospetto.

Non c’è niente di più infamante di un poliziotto che vende un amico, facendolo morire tra braccia di moglie. In realtà era stato un infiltrato nelle cosche del quartiere Arenella che conosceva come le sue tasche e dove è morto.

Scagionato da tutte le accuse, anche grazie alla testimonianza della vedova di Ninni, diventò il bersaglio di Cosa Nostra, che portò a termine il suo piano di morte quel pomeriggio di gennaio. Erano giorni di tensione a Palermo: 48 ore prima era stato ucciso l’ex sindaco della città, Giuseppe Insalaco (leggi qui).

Per la giustizia a uccidere Mondo furono Salvino Madonia e Agostino Marino Mannoia, condannati all’ergastolo. Quest’ultimo insieme al terzo killer, rimasto senza volto e senza nome, sarebbe scomparso. Entrambi vittime di lupara bianca. Nonostante non sia un caso irrisolto, rimasto chiuso in un cassetto, restano tante domande senza risposta, domande che ruotano intorno all’identità di chi ha voluto e ordinario il delitto.

Come ha ricordato Tina Montinaro, vedova di Antonio, capo della scorta del giudice Giovanni Falcone, ucciso nella strage di Capaci «Mondo ha pagato due volte il prezzo per essere stato un leale servitore dello Stato: prima con le infamanti e infondate accuse arrivate da un pentito, o presunto tale, che stava raccontando fatti che poi si sarebbero rivelati mendaci». La seconda in un marciapiede palermitano, crivellato di colpi.



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