A quindici anni di distanza dalla morte di Alessandro Miglietta, il vigilantes ucciso al termine di un litigio da due fratelli, Fabio e Fernando Tondo, è intervenuta la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sollecitata dagli avvocati Luca Luigi Piri, Pasquale Medina e Marco Vitone per statuire, in maniera dirompente, la violazione del principio del giusto processo regolato dall’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’Uomo.
La violazione si sarebbe consumata, secondo la sentenza della Corte Europea, nel corso della celebrazione del processo di secondo grado tenutosi nel lontano 2011, come anche nei giudizi successivi che hanno riguardato Fernando Tondo e suo fratello Fabio, imputati (il secondo a titolo di concorso) dell’omicidio della guardia giurata di Squinzano, al termine di un violento diverbio nel lontano 2005.
La Corte Europea ha ravvisato la violazione da parte dello Stato Italiano del principio del giusto processo in considerazione della circostanza che, i giudici della Corte di Assise di Appello di Lecce, in riforma della sentenza assolutoria emessa in prima istanza dalla Corte d’Assise di Lecce (i fratelli erano stati assolti per legittima difesa: il colpo con la pistola d’ordinanza della vittima sarebbe partito senza che il maggiore dei due, Fernando, prendesse la mira. Si sarebbe “difeso” dalla reazione del vigilantes durante la lite furibonda scoppiata per vecchie ruggini, per questioni personali), avevano provveduto a sovvertire la valutazione probatoria dei testimoni escussi in primo grado senza procedere al necessario riascolto dei medesimi testi.
La Corte Europea ha, infatti, ribadito un principio già espresso in precedenti pronunce, secondo il quale “la valutazione della credibilità di un testimone è un compito complesso che, normalmente, non può essere portato a termine semplicemente leggendo il contenuto delle dichiarazioni del testimone”. Come avrebbe fatto la Corte d’Assise di Appello di Lecce.
Ne consegue che, secondo la pronuncia emessa dai Giudici di Strasburgo dovrà necessariamente essere celebrato un nuovo giudizio di appello ove, per entrare nel merito delle valutazioni probatorie espresse dai giudici di primo grado, occorrerà riascoltare i testimoni oculari ritenuti determinanti ai fini della esatta ricostruzione dei fatti occorsi al fine di (ri)valutare la eventuale responsabilità degli imputati.
Occorre evidenziare che la sentenza in questione si innesta nell’ambito di un processo in cui i fatti contestati agli imputati sono risultati quantomai controversi nella loro esatta ricostruzione. Come è noto, i giudici di primo grado avevano assolto gli imputati sul presupposto che avessero agito per legittima difesa. La Corte d’Assise di Appello di Lecce aveva ribaltato il verdetto, operando una rivalutazione della credibilità ed attendibilità dei testimoni sulla base della semplice rilettura delle loro dichiarazioni, ovvero senza riascoltarli come invece, secondo i giudici di Strasburgo, avrebbe dovuto fare.
La violazione delle regole del giusto processo e dei diritti dell’imputato erano stati evidenziati anche nel corso del giudizio di Cassazione, ma la Suprema Corte aveva sostanzialmente ritenuto insussistente tale violazione.
La sentenza pronunciata dalla Corte dei Diritti dell’Uomo indurrà quindi l’avvocato Luca Piri a richiedere la revisione del processo di secondo grado e la rimessione in libertà dei fratelli che hanno già scontato circa sei anni di detenzione dei 12 e 19 rispettivamente comminati.
«Si ritiene che la sentenza, sebbene costituisca una pronuncia di estremo ed eccezionale valore, rappresenti una chiara sconfitta per tutte le parti processuali, atteso che a quindici anni dai fatti occorsi, non si sia ancora riusciti ad accertare nulla di definitivo in merito a tale triste vicenda» ha dichiarato il legale.
