
Quando per Angela Martella, Patrizia Piccinni e Antonio Esposito si sono aperte le porte del Carcere di Lecce per l’omicidio di Donato Montinaro, il falegname in pensione trovato senza vita nella sua abitazione di Castri, Emanuele Forte, 30enne di Corsano, era “solo” indagato a piede libero. Il suo nome compariva spesso nell’ordinanza a firma della Giudice per le indagini preliminari, Laura Liguori in cui, dopo aver ricostruito quella sera del 10 giugno, quando il 76enne ha aperto la porta ai suoi presunti assassini, era possibile leggere tutte le prove raccolte per incastrarli, dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza che hanno disegnato i movimenti del gruppo, alle intercettazioni telefoniche, alcune sembrate vere e proprie confessioni.
Era Forte, finito anche lui a Borgo San Nicola, a tentare di convincere Angela Martella a sbarazzarsi dell’auto usata per raggiungere Castri e per tornare a casa. Sapevano che era impossibile “evitare” tutte le telecamere e temevano di essere stati immortalati, come poi è successo. Per questo, la donna aveva cercato di cedere la macchina per sviare i sospetti da sé e dai suoi complici. La Hyundai poi è stata tenuta sia perché Angela non voleva “bruciarla”, vendendola ad un prezzo inferiore al suo valore, sia perché Patrizia l’aveva tranquillizzata, dicendole di essere sicura che non sarebbero state più arrestate (ormai nimu scapputtatu de tuttu, nimu scappottatu) considerato che era trascorso troppo tempo dal delitto e le suggeriva di essere più serena.
Sempre Forte compariva in alcune conversazioni, come quella del 12 settembre, quando Patrizia Piccinni diceva «dobbiamo tenercelo buono…perché non si sa mai cosa gli scatta dentro la testa a uno di quelli» ricevendo da Angela la risposta «ancora a quello ‘scazzamureddu date retta non vedi che dice un mare di coglionate». C’è anche l’intercettazione tra le due donne del 23 giugno che, passando vicino all’abitazione del giovane a Corsano, commentando le difficoltà degli investigatori a trovare il quarto complice, si lasciavano sfuggire un “a lui è difficile che arrivino! Che arrivino a lui è difficile!”. Una frase giustificata dal fatto che sapessero che la sera dell’omicidio non aveva con sé il cellulare. Solo loro potevano conoscere questo dettaglio.
O quando Antonio Esposito ha confermato di aver incontrato a casa sua il 30enne di Corsano per parlare dell’aggressione al pensionato finita in tragedia. Dramma, come aveva più volte confidato, di cui si era “pentito” al punto da aver pensato a togliersi la vita. «Esposito – si legge nell’ordinanza – poteva sfogarsi solo con chi era a sua volta coinvolto nell’omicidio e poteva condividere la sua spasmodica ricerca di informazioni di stampa sullo stato delle indagini, essendo estremamente pericoloso coinvolgere estranei nelle emozioni e nelle preoccupazioni derivanti dall’accaduto». L’uomo ha cercato di capire, attraverso le notizie trapelate, come stavano procedendo le indagini, come quando in una intercettazione rammaricandosi di non aver “beccato” un telegiornale si lamentava dell’atteggiamento di Angela, poco preoccupata dell’accaduto. “Stae scucitata, sta tranquilla” diceva infastidito. La stessa ‘indifferenza’ mostrata anche quando le era stato consigliato di sbarazzarsi dell’auto. «La donna – si legge – non appare comprendere la pericolosità della condotta di continuare a detenere un veicolo coinvolto nel fatto delittuoso».
Gli interrogatori: in due parlano e accusano Forte
Il pentimento è stato il filo conduttore anche durante l’interrogatorio di garanzia, quando più volte, affranto, l’uomo ha raccontato di essersi fatto coinvolgere nell’omicidio, insistendo sul fatto di aver pensato al suicidio, ma di non aver avuto il coraggio di farlo. Già l’interrogatorio… Se Angela Martella ha scelto la strada del silenzio avvalendosi della facoltà di non rispondere, Piccinno e Esposito hanno raccontato cosa è accaduto quella notte, tirando in ballo anche Forte. Era lui – hanno detto – il quarto componente del gruppo. Anche se le dichiarazioni mostrano delle “differenze” soprattutto per quanto riguarda il ruolo avuto quella maledetta notte, sul 30enne i due concordano: è stato lui, secondo Esposito, a immobilizzare, imbavagliare e picchiare con violenza il pensionato con l’aiuto di Patrizia mentre Antonio lo teneva fermo. La donna, dal canto suo, ha ricostruito un’altra scena, forse nel tentativo di sottrarsi o quantomeno di rimensionale le sue responsabilità, ma ha comunque puntato il dito contro il 30enne, senza esitazione. Una chiamata in correità, come si dice in gergo.
Forte era finito tra i ‘sospettati’ prima degli interrogatori, ma le prove raccolte a suo carico fino alla testimonianza dei suoi complici, si legge nell’ordinanza, lasciavano un margine di dubbio. Dubbio cancellato, sembra, dalle dichiarazioni del 30enne che, durante la perquisizione degli uomini in divisa, pare abbia spontaneamente dichiarato di essersi recato a Castri insieme a Partizia, Angela e Antonio a bordo della Hyundai e di essere entrato nel garare dell’abitazione del pensionato, dove aveva prelevato una motosega riposta all’interno della vettura.