Omicidio del falegname di Castri, chiesto il giudizio immediato per i presunti assassini

Firmata la richiesta di giudizio immediato per i presunti autori dell’omicidio di Donato Montinaro, il falegname di Castri trovato senza vita nella sua abitazione

Per mesi gli inquirenti hanno lavorato in silenzio per risolvere il mistero dell’omicidio di Donato Montinaro, il falegname di Castri trovato senza vita nella sua abitazione che si affaccia su via Roma quella ormai nota mattina dell’11 giugno. Le immagini delle telecamere di videosorveglianza, la ricostruzione dei ‘movimenti’ di quella notte, le intercettazioni telefoniche, alcune sembrate vere e proprie confessioni, hanno portato all’arresto di Angela Martella, Patrizia Piccinni e Antonio Esposito, finiti a Borgo San Nicola.

Le porte del Carcere si sono aperte anche per il quarto complice, Emanuele Forte. Il suo nome compariva spesso nell’ordinanza a firma della Giudice per le indagini preliminari Laura Liguori, ma i sospetti sono diventati più “pensanti” durante l’interrogatorio di garanzia, quando Piccinni e Esposito hanno puntato il dito contro il giovane. C’era anche lui quando si sono presentati davanti alla porta del pensionato che ha aperto ai suoi assassini, visto che non c’erano segni di effrazione. Chiuso il cerchio ora i quattro potrebbero finire direttamente sul banco degli imputati, senza sostenere prima l’udienza preliminare. Il Pubblico Ministero Maria Consolata Moschettini, titolare delle indagini, ha firmato la richiesta di giudizio immediato.

La ricostruzione dell’omicidio

Quando la banda ha raggiunto l’abitazione dell’anziano, forse sperava di trovare i soldi che il pensionato si vantava di custodire in casa, attirando l’attenzione di amici e conoscenti. In molti sapevano di quel gruzzoletto nascosto, probabilmente, nella villetta in cui è stato ucciso, mentre la figlia, incapace di capire cosa stesse accadendo, era chiusa nella sua stanza. Come si legge nelle carte dell’inchiesta, il fatto che non abbia voluto svelare dove avesse messo i contanti “giustificherebbe” la violenza utilizzata nei suoi confronti. Montinaro non è morto per le botte ricevute, ma per «asfissia da soffocamento». Era stato legato, imbavagliato con numerosi giri di nastro adesivo telato di colore grigio e immobilizzato ad un tavolino in legno su cui era stato posizionato un comodino.

Ad indirizzare gli investigatori sulla strada giusta è stata la testimonianza della governante che ha scoperto il corpo senza vita del pensionato. La donna aveva raccontato che l’ex falegname era solito “chiudere tutto”, prima di andare a dormire, ma non c’erano segni di effrazione su porte e finestre. Allora aveva aperto ai suoi assassini, persone che probabilmente conosceva. Per questo, gli investigatori hanno cercato tra i suoi ultimi contatti telefonici. Da qui, la scoperta della telefonata di Angela Martella, alle 20.38 del giorno dell’omicidio. Una chiamata di 140 secondi.

Il resto, come detto, è stato un quadro composto da più pezzi del puzzle: le telecamere che hanno immortalato la macchina usata per raggiungere Castri, i telefoni che hanno agganciato tutti celle ‘vicine’ all’abitazione di Montinaro in un orario compatibile con l’omicidio, le intercettazioni (tra cui conversazioni che avevano il sapore di una confessione), il racconto di alcuni testimoni. Non ha potuto parlare la figlia disabile del falegname che si trovava in casa quando il padre è stato massacrato di botte e immobilizzato in modo da togliergli l’aria.

Gli indagati sono difesi dagli avvocati Silvio Verri, David Alemanno, Luca Puce e Marco Costantino.



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