Pier Paolo Pasolini è stato molte cose, non a caso è considerato un artista di inestimabile valore. Poeta, regista, sceneggiatore, giornalista, filosofo, intellettuale forse un po’ scomodo, pensatore amato e odiato per i suoi giudizi sopra le righe, per le denunce dei costumi e delle ipocrisie borghesi, per le sue apparenti contraddizioni, una delle tante quella di essere un omosessuale ateo, ma anche un uomo di fede.
Per questo è difficile riavvolgere il nastro, tornare a quella notte del primo novembre 1975, quando lo scrittore fu trovato senza vita all’Idroscalo di Ostia, ucciso brutalmente da Pino Pelosi, un ragazzo di vita diventato un assassino per una prestazione sessuale non gradita. Una morte e una ricostruzione che non hanno mai convinto del tutto, forse perché a fare da sfondo al delitto era l’Italia degli attentati, delle stragi, dei misteri, dei complotti, delle trame.
L’ultimo giorno di vita di Pasolini
Le lancette dell’orologio avevano da poco segnato le 22.30, quando Pier Paolo Pasolini “rimorchia” Pelosi in Piazza dei Cinquecento, non lontano dalla Stazione Termini e lo invita a «fare un giretto», con la promessa di un compenso in denaro. Dopo aver mangiato al Biondo Tevere, i due lasciano la trattoria, raggiungono Ostia e si fermano in una strada sterrata, non lontano da un campetto di calcio. Poi il buio, fino all’una e mezza del 2 novembre quando il 17enne è stato fermato sul lungomare al volante dell’Alfa Romeo sportiva di colore argento dello scrittore. Guidava contromano, a folle velocità e tanto è bastato per aprirgli le porte del carcere minorile di Casal del Marmo. L’accusa? Furto di auto, un piccolo reato come quelli che aveva collezionato nella sua vita di espedienti. Fino alle 9.00, i carabinieri avevano un ladro di auto con la macchina e la polizia un cadavere che non sapevano com’era arrivato sul luogo.
La confessione arriva solo dopo. Al compagno di cella ammette di “aver ucciso Pasolini”. Un incidente racconta durante l’interrogatorio. Dopo aver colpito con un bastone lo scrittore, sostiene, lo ha investito per fuggire, schiacciandogli il torace e rompendogli il cuore.
Il cadavere massacrato fu trovato per caso da una donna, alle 6.30 e riconosciuto da Ninetto Davoli, suo vecchio amico e volto di molti suoi film. «Pier Paolo», dice piangendo davanti al corpo. Al primo sole c’è qualcosa che brilla: un anello d’oro con un rubino rosso incastonato. È la prova contro Giuseppe Pelosi, ma nessuno ancora lo sa. Resta un indizio fino a quando un carabiniere ricorda un particolare: il giovane arrestato nella notte si lamentava perché aveva perso un anello.
Le contraddizioni
Il caso sembra destinato ad essere chiuso in fretta: omicidio volontario pluriaggravato, una storia “de froci” come mormoravano all’epoca, ma le certezze sulla morte dello scrittore durano poco. A pagare con il carcere è solo Pino Pelosi, colpevole, ma mai convincente del tutto. E di cose che non tornano nella ricostruzione di quella notte ce ne sono tante, molti gli elementi per dubitare della verità ufficiale. Come è possibile che un ragazzetto, un “borgataro” di Guidonia, sia riuscito a fermare Pasolini con due pezzi di legno fradici, una tavoletta e un’insegna che indica scritta a mano il nome della strada, «via dell’Idroscalo n.93» e senza sporcarsi di sangue?
Non solo, la cugina di PPP, dichiarò che l’auto dello scrittore fu ritrovata abbandonata alle tre di notte in via Tiburtina. Eppure secondo i verbali del tempo Pelosi venne arrestato mentre sfrecciava contromano lungo il litorale di Ostia, sull’auto di Pasolini.
Cosa più importante, quante persone c’erano su quella spiaggia a qualche metro dalle baracche che la gente povera s’era costruita con le proprie mani abusivamente per stare vicino al mare? Pasolini non è stato ucciso da una persona sola. Lo ha scritto Oriana Fallaci sull’”Europeo”. Ne sono convinti i giudici di primo grado secondo cui l’omicidio era avvenuto “in concorso con ignoti”.
Tornato il libertà nel 2005, dopo aver scontato il suo conto con la giustizia, Pelosi raccontò in tv che non fu lui a picchiare Pasolini, ma che i due furono aggrediti da tre persone dall’accento siciliano, giunte a Ostia su una Fiat 1300 targata Catania. Era giunta anche una segnalazione alla polizia quella sera, ma nessuno aveva approfondito la pista, nonostante fossero stati forniti i primi tre numeri della targa.
Chi ha ucciso Pasolini?
Dettaglio non fantasioso. All’epoca, durante le indagini, qualcuno fece i nomi di Franco e Giuseppe Borsellino, conosciuti nel mondo della malavita come braciola e bracioletta, dediti al traffico di sostanze stupefacenti. I due che non avevano neppure un alibi credibile per quella notte avevano sparso la voce di aver pestato a morte Pasolini, ma davanti agli inquirenti dissero di essersi inventati tutto per costruirsi una reputazione da duri.
C’è poi Johnny lo zingaro finito nelle carte del processo sull’omicidio per un plantare di scarpa numero 41 ritrovato nell’Alfa Romeo di Pasolini che non apparteneva né allo scrittore né a Pelosi e che Giuseppe Mastini usava abitualmente in seguito alle conseguenze di una sparatoria.
Spesso la verità processuale non coincide con la verità storica. E se la prima è stata completata, con la condanna di Pino la Rana, la seconda forse manca ancora.