La storia di Luca Greco, il ragazzo caduto nel pozzo come Alfredino

Il 10 luglio 1995, Luca Greco, tredicenne di Nociglia, cadde in un pozzo profondo. Una tragedia che ricorda quella di Alfredino Rampi

Nociglia, 10 luglio 1995. Una sera come tante, carica di spensieratezza. L’aria sapeva di estate, ma quel giorno si trasformò in una delle notti più buie nella storia del Salento. Luca Greco, un ragazzo di appena 13 anni, era caduto in un pozzo profondo 130 metri nel cortile della scuola del paese mentre giocava a calcio con i suoi amichetti. Nessuno avrebbe potuto immaginare che quel buco stretto appena 46 centimetri, buio e silenzioso, avrebbe messo alla prova il cuore e lo spirito di un paese intero. Il tempo sembrava essersi fermato. Ogni secondo diventava eterno. Ogni sussurro, una supplica.

Il dramma sotto il cielo stellato

Come era accaduto a Vermicino, l’atmosfera che si respirava nell’asilo ricordava la tragedia del piccolo Alfredino Rampi. La scena che si presentò davanti agli occhi dei soccorritori sembrava un tragico déjà vu. Anche l’epilogo fu, putroppo, lo stesso. Per ore sul bordo del pozzo dove la gente pregava, piangeva, aspettava, il sentimento comune era la speranza. I microfoni calati nel pozzo avevano trasmesso solo piccoli rumori di terra caduta, di pietre che continuavano a rotolare. Nessun lamento, nessuna voce che potesse far capire che il ragazzo fosse ancora vivo, ma dovevano provarci, dovevano salvarlo.

Volontari, vigili del fuoco, giovani speleologi con la forza del cuore più che dei muscoli, cercarono di salvare il ragazzo precipitato in quel pozzo dimenticato che gli aghi di pino, il terriccio e il tempo avevano nascosto. Tutti lì, uno dietro l’altro, pronti a scendere per strappare Luca all’oscurità. Tutti esili e sottili come il filo della speranza. Uno di loro lo raggiunse. Lo legò. Lo riportò su. Era troppo tardi.

Per ore, i soccorritori tentarono l’impossibile, ma quando Luigi Valiani, uno speleologo del gruppo ‘Ndronico di Nardò/Lecce, lo adagiò sulla barella pronta a correre in Ospedale, il cuore di Luca aveva smesso di battere pochi minuti dopo la caduta in quel pozzo maledetto. Avrebbe dovuto soffiare sulle 13 candeline che decoravano la sua torta di compleanno. Una festa che si era interrotta in una fessura nella terra. Lo sapeva Valiani che Luca non gli avrebbe mai sorriso.

L’abbraccio di un paese

Quando il corpo di Luca riemerse, poco dopo mezzanotte, ci fu l’abbraccio di un paese intero a quel ragazzo strappato alla vita nel giorno stesso del suo compleanno. Tredici anni appena compiuti. Un’età di sogni, di giochi, di biciclette e tramonti.

Quella sera il figlio di Giovanni e Venturina era diventato il figlio di un’intera comunità che, in quella tragica sera, si è inginocchiata attorno a quella famiglia.

Il pozzo, dopo il dramma, è stato chiuso. Ma il vuoto che ha lasciato no. Quel vuoto resta, come un segno inciso nella pietra, che non fa male solo per quello che è successo, ma per tutto ciò che poteva ancora essere. Per la vita che Luca non ha potuto vivere, per le estati che non ha potuto godere, per le albe che non ha potuto vedere.

Ogni anno, il 10 luglio, Nociglia si ferma. Si inginocchia. Ricorda. Si lascia accarezzare dal silenzio, e in quel silenzio si sente ancora la voce di Luca.