L’orologio aveva appena segnato le 20:20, quando in un’abitazione al civico numero 2 di via Diaz divampa un incendio. Attirati dal fumo, due vicini di casa entrano nella palazzina per tentare di spegnere le fiamme e aiutare chi era rimasto intrappolato in attesa dei Vigili del fuoco, ma non lontano dalla porta dell’appartamento trovano il corpo di un uomo. Lo trascinano lontano, per metterlo al sicuro. Era Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto di quella che passerà alla storia come la Strage di Erba, un giallo che non resterà chiuso in un cassetto, tra i faldoni dei tanti, forse troppi, casi irrisolti.
Quella sera dell’11 dicembre 2006, nel “Condominio del Ghiaccio” morirono, uccisi senza pietà, Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, di appena due anni, la madre della padrona di casa Paola Galli e la vicina Valeria Cherubini, moglie dell’uomo che si era salvato grazie ad una malformazione alla carotide. Era stato abbandonato sul pianerottolo in fin di vita da chi probabilmente lo credeva morto.
La dinamica della strage
Chi poteva aver commesso quell’orrore? Volti familiari, insospettabili della porta accanto. Per la giustizia i colpevoli sono Olindo Romano e Rosa Bazzi, un netturbino corpulento e una minuscola domestica. Erano loro i mostri di Erba, gioiello della Brianza alta tra Milano e Como. Loro che, fin da subito, hanno attirato l’attenzione degli uomini in divisa con il loro comportamento disinteressato. Il male lo avevano covato dentro, in silenzio tra le mura dell’abitazione al piano terra di quella che un tempo era una cascina. È esploso quella sera quando hanno scritto la parola fine sulla vita di quattro persone, più il cane, morto intossicato.
Si accaniscono prima su Raffaella, figlia inquieta di una delle famiglie bene della città, poi sulla nonna di Youssef, 2 anni e tre mesi, ritrovato sul divano. La stessa sorte toccherà a Valeria che, preoccupata per il fumo, si era precipitata nell’appartamento con il marito Mario Frigerio . Nonostante il profondo taglio alla gola, si salverà ‘grazie’ ad una malformazione che gli ha evitato di morire dissanguato.
Olindo, nome ereditato da uno zio alpino scomparso in Russia nel 1943 e Rosa, maniaca dell’ordine, dopo il massacro vanno a mangiare al McDonald’s di Como. Timbro dello scontrino: 21.37, un’ora e qualcosa dopo aver lasciato l’appartamento della famiglia Marzouk in fiamme. Cenano mentre i sospetti si concentrano su Azouz, marito di Raffaella e papà del piccolo Youssef, con qualche piccolo precedente alle spalle. Ma quel giorno era in Tunisia, lontano da quella cascina ristrutturata, dove vivevano venti famiglie affacciate su un cortile chiuso. L’alibi regge.
Speravano di farla franca Rosa e Olindo, esasperati dai continui battibecchi tra vicini. Non si piacciono e non si rispettano. Troppo chiasso, troppo disordine, troppo rumore. Quella sera hanno fatto pulizia, messo ordine. Condannati dalla giustizia e dall’Italia, indignata per quel massacro. Eppure qualcuno pensa che siano innocenti, nonostante le parole di Frigerio che, dopo due giorni si sveglia dall’anestesia e scandisce i nomi dei suoi aggressori, degli assassini di sua moglie, delle ‘belve’ che hanno ucciso un bambino di due anni.
Le prove
Avevano pensato a tutto, proprio a tutto. I guanti per non lasciare impronte, le armi: due coltelli e una spranga che Olindo sapeva bene dove buttare insieme ai vestiti sporchi di sangue. Fa il netturbino, bastava solo scegliere il cassonetto giusto che l’indomani, alle otto in punto del mattino, un suo collega avrebbe svuotato, cancellando per sempre le prove. E lo scontrino della cena fuori, rimasto “per caso” in tasca ed esibito ai Carabinieri che non avevano nemmeno chiesto spiegazioni. Il piano è perfetto, è andato tutto liscio…o quasi. Per un mese la coppia di Erba conduce una vita normale come se nulla fosse accaduto, senza lasciar trapelare emozioni, come se il sangue versato fosse servito a rendere ancora più saldo quell’amore che in tanti hanno definito «morboso». I vicini hanno sostenuto che dopo la tragedia Rosa, il carroarmato come veniva chiamata perché sembrava instancabile quando si prendeva curadi quella casa tenuta come un santuario, era cambiata. Tutti gli ‘abitanti’ della corte avevano notato che fosse stranamente di buon umore.
Alla fine ad incastrarli è stata una macchia di sangue di Mario Frigerio sfuggita al maldestro tentativo di cancellarla dalla tappezzeria dell’auto. Una gocciolina di cui non si accorge neanche Rosi, che è una maniaca del pulito. «Non era compromessa», non c’erano ad esempio tracce dell’acqua usata dai vigili del fuoco per domare l’incendio. Doveva essere stata lasciata prima.
C’è poi la confessione. Gli inquirenti hanno capito chi è l’anello debole della coppia: Olindo. È lui che sembra intenzionato a raccontare la verità. E sempre lui sembra voglia convincere Rosa a confessare. Alla fine lei lo fa, si dichiara colpevole e protegge il marito. Hanno cercato di scagionarsi a vicenda, ma alla fine sono crollati, hanno parlato senza mostrare un minimo senso di colpa.
Come detto qualcuno crede che Olindo e Rosa siano innocenti, che stiano pagano una pena per qualcosa che non hanno commesso. La giustizia ha scritto un’altra storia, e per il momento resta quella ufficiale.
