“Ulinne cu te vampane”, il tentato omicidio che ha svelato i segreti dei clan

Le indagini sul tentato omicidio di Alberto Specchia, avvenuto il 9 agosto 2019, hanno permesso di scoprire il contesto che ha portato al provvedimento firmato dal giudice per le indagini preliminari Marcello Rizzo

9 agosto 2019. Le lancette dell’orologio avevano da poco segnato le 6.45, quando alla Centrale Operativa giunse una telefonata. Un operatore del 118 aveva chiamato i Carabinieri per raccontare che, poco prima, i medici avevano soccorso un operaio, tal Alberto Specchia, ferito da un’arma da fuoco. Almeno sette colpi, cinque andati a segno, ma era sopravvissuto. Sanguinante si era trascinato per chiedere aiuto, citofonando ad alcune abitazioni che si affacciavano su Corso Italia, nelle campagne di Soleto, dove era avvenuto l’agguato. Aveva risposto un uomo. Una volta aperta la porta, si era trovato davanti il giovane, all’epoca 32enne, che aveva raccontato di essersi fatto male cadendo dallo scooter. Un incidente. Lo sconosciuto non poteva sapere che era appena avvenuto un tentato omicidio.

Il tentato omicidio

Specchia, come tutte le mattine, era diretto al lavoro in sella al suo scooter, quando si accorge di essere seguito da un altro mezzo a due ruote di colore nero, senza targa. In sella sono in due, come si nota nelle immagini di alcune telecamere di videosorveglianza che avevano ripreso il passaggio dei veicoli. Ad un certo punto, spunta una pistola. A premere il grilletto è il passeggero. Spara ad altezza uomo con l’intento di uccidere. Il 32enne sbanda, cade a terra ferito, si rialza e chiede aiuto. “Mi fa male la gamba sto perdendo del sangue. È perché sono caduto con lo scooter”, dice all’uomo che lo aveva soccorso. Non parla di proiettili, non racconta di essersi salvato per miracolo, ma la verità verrà a galla presto, quando un’ambulanza del 118 lo accompagna d’urgenza all’Ospedale Vito Fazzi di Lecce. Quaranta giorni la prognosi finale.

Le indagini

I Carabinieri si mettono subito al lavoro, intuiscono che qualcosa non torna. Stomeo e la sua fidanzata dell’epoca parlano, raccontano di “piccoli” dispetti sul lavoro. La donna, infatti, gestisce con l’aiuto del suo compagno un’attività di noleggio ombrelloni e sdraio a Torre dell’Orso, ma deve fare i conti con la vicina concorrenza che non gli rende la vita sulla spiaggia semplice. Screzi, fastidiosi, ma nulla di più. Ma nelle confidenze fatte agli uomini in divisa mancava sempre qualcosa. I due si erano guardati bene dal raccontare dettagli importanti, quei particolari in grado di dare un volto e un nome agli “sconosciuti”.

Interrogato in Ospedale, Stomeo nega di aver visto in faccia i suoi aggressori: “La mia attenzione era focalizzata sull’arma”. “Avevano i caschi integrali”. “Non sono in grado di dire se lo scooter su cui viaggiavano avesse o meno la targa”. Nulla.  Non poteva essere solo la paura di ritorsioni a chiuderlo in silenzio.  Sembrava più che volesse nascondere qualcosa.

Per gli uomini in divisa, però, il movente era chiaro, o meglio si nascondeva in quel tratto di spiaggia libera a Torre dell’Orso conteso tra le due attività. Si trattava solo di una pagina della storia, ricca di estorsioni, traffico di droga e armi, scoperta strada facendo.

La svolta arriva grazie alle immagini delle telecamere installate in una stazione di servizio. I due sullo scooter nero si erano fermati a fare rifornimento di benzina, prima di colpire. E, il passeggero, non aveva il casco integrale, come aveva raccontato la vittima. Si arriva così a Christian Stomeo, uomo di fiducia di Giuseppe Bevilacqua che, si scoprirà dopo, guidava il mezzo.

Non si tratta solo di sospetti. In un’intercettazione nella stanza dell’ospedale dove Specchia era stato ricoverato si sente chiaramente il giovane confidare alla compagna di aver  visto in faccia i suoi attentatori. E che stava ben attento a non fare i loro nomi. Nomi che ha detto al papà che, conoscendo la loro caratura criminale, risponde «ulinne cu te vampane (ti volevano uccidere), non era un avvertimento».

Le intercettazioni inchioderebbero anche Stomeo. Il ragazzo, mentre si vantava di essere l’unico spacciatore nella zona di Martano (tutti gli acquirenti facevano riferimento a lui per l’acquisto dello stupefacente, essendo in grado di soddisfare qualsiasi richiesta, sia di “erba” (marijuana), che di “fumo” (hashish) nonché di cocaina) si è lasciato sfuggire di avere due pistole da vendere: una calibro 9 e una calibro 22 a tamburo”. Quella ‘pulita’ l’avrebbe ceduta al costo di 1500/1700 euro, quella ‘sporca’ – che aveva “fatto danni” all’ex di sua sorella (Stomeo ndr) – a mille euro. L’arma utilizzata per il tentato omicidio risulta essere proprio una pistola cal. 22, a tamburo.

Insomma, per gli inquirenti gli autori del tentato omicidio sarebbero Giuseppe Bevilacqua, 37enne di Martano, e Christian Stomeo, ma se il primo potrà difendersi da questa e dalle altre accuse contestate, Stomeo non potrà farlo essendo scomparso, in un tragico incidente stradale.  Anche Galiulo, considerato uno dei capi del sodalizio con Bevilacqua, ha perso la vita in un sinistro.