I giovani e il lavoro. Analisi dei dati nel Salento tra paure e futuro

Pubblichiamo la relazione introduttiva del Segretario Territoriale della Cisl di Lecce in occasione della tavola rotonda organizzata dalla Felsa dal titolo ‘Il lavoro che c’è, il lavoro che non c’è, il lavoro che cambia. E i giovani?’

Sono tante le famiglie salentine che nella fase della ripartenza dopo la pandemia, fanno i conti – anche se sarebbe più corretto dire: continuano a fare i conti…- con un mercato del lavoro connotato da vecchi e nuovi mutamenti e flessibilità. Come ha evidenziato il recente Rapporto Svimez, il peggioramento della qualità del lavoro, con la diffusione di lavori precari e a basso reddito, ha coinciso con i mutamenti della struttura produttiva a vantaggio di un terziario low cost.

Da qui i fenomeni congiunti dei giovani, soprattutto laureati, che migrano e delle famiglie scoraggiate nell’investire sull’istruzione dei figli. Prima di soffermarsi sul rapporto tra i giovani e il lavoro, che è alla base del convegno organizzato dalla Cisl e dalla Felsa di Lecce dal titolo “Il lavoro che c’è, il lavoro che non c’è e il lavoro che cambia”, occorre offrire una rapida rappresentazione di un universo più complesso.

La denatalità nel Salento

Dai report 2020 forniti dagli Ambiti Sociali Territoriali emerge un progressivo incremento del fenomeno della denatalità (non più bilanciato dalla componente migrante) e un incessante invecchiamento della popolazione; trend, questi, che impattano inevitabilmente anche nei contesti lavorativi. Sono 782.165 gli individui residenti in provincia di Lecce nel 2020, di questi solo 163.768 i giovani tra i 15 ed i 34 anni (dati Istat).

Cresce il numero dei neet

Cresce il numero dei neet (giovani entro i 29 anni che non studiano e non lavorano). I dati del Rapporto Anpal al 31 dicembre 2020 restituiscono 147mila giovani registrati, di cui l’84,7 % presi in carico. Tra le misure di politica attiva avviate prevale la formazione, seguono i tirocini extracurricolari e le misure di accompagnamento.
L’emergenza sanitaria si è abbattuta pesantemente sui giovani. A dicembre 2020 il tasso di disoccupazione giovanile, per i ragazzi di età compresa tra i 15 ed i 29 anni, si attestava nel Salento al 28.7 %, dato allarmante ma, di diversi punti inferiore a quella del mezzogiorno grazie ad una dinamica imprenditoria giovanile che piazza Lecce al 12° posto, tra le prime 20 province italiane ad avere dei ragazzi under 35 a capo di un’attività. Permane il fenomeno dell’abbandono del territorio da parte dei giovani, molti dei quali ad alta qualificazione.

L’occupazione nel Salento

In lieve recupero il tasso di occupazione, con particolare riferimento al lavoro a termine.
Esaminando i dati del rapporto assunti – titoli di studio per l’anno 2020 (fonte Unioncamere/Anpal – sistema informativo Excelsior) si registra un totale di 32.890 assunzioni di cui: 8.050 a tempo indeterminato, 1.600 in apprendistato, 22.290 a tempo determinato e 950 a chiamata. Con riferimento ai titoli di studio 10.480 risultano sprovvisti di titolo, 8.990 posseggono una qualifica di formazione o diploma professionale, 10.830 un diploma secondario, 480 hanno conseguito il titolo presso un ITS e 2.110 sono in possesso di un titolo universitario.

L’approccio al mondo del lavoro

L’ approccio al mondo del lavoro è molteplice e, ahimè, non sempre incoraggiante. Si parte dall’ esperienza dell’alternanza scuola lavoro (ora Pcto – percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) che resta un importante punto di contatto tra ragazzi e aziende, ma che non sempre risulta rispondente al percorso di studio dell’alunno e spesso scarsamente incidente a causa del carattere intermittente dell’esperienza e dell’esiguo monte ore ad essa riservato (in molti casi non si arriva alle due settimane).

Altro punto di contatto è dato da piccole esperienze informali – che tanto dicono circa le improprie modalità di reclutamento- spesso effettuate nel settore terziario. Significative le esperienze di approccio al mondo del volontariato, sempre più considerato come un canale di dialogo con il mondo del lavoro per la costruzione di network professionali e di competenze successivamente spendibili.

Scarsamente utilizzato, come evidenziato dai dati forniti in precedenza, il canale dell’apprendistato. Una occasione mancata, questa, nonostante si tratti dello strumento principe per l’allineamento tra domanda e offerta di lavoro. Una occasione persa dalle aziende per formare i profili professionali fortemente coerenti con le specificità di processo e prodotto.

Scarsamente praticato il ricorso ai centri per l’impiego (CPI) e alle Agenzie per il Lavoro. Più ricorrente la richiesta di soccorso alla collaudata ed efficace rete familiare, così come l’autocandidatura mediante navigazione sul web, su bacheche di annunci o sui social media, oppure mediante l’invio del curriculum vitae, strumento non sempre conosciuto e ben formulato secondo l’Europass format.

All’ interno del composito universo Neet spiccano le opportunità offerte dal programma garanzia giovani.

Di maggiore interesse risulta essere il dato relativo le diverse misure per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità, in particolar modo quelle per la realizzazione di progetti imprenditoriali innovativi ad alto potenziale di sviluppo locale (Nidi e Pin).

Tanti strumenti e tanti percorsi, non sempre agevoli, per guadagnarsi il proprio piccolo “posto al sole” all’ interno di un mercato del lavoro sempre più flessibile e in costante evoluzione a causa dei sempre più veloci processi di innovazione tecnologica che influenzano i modelli organizzativi delle imprese, ponendo le basi per un profondo e progressivo rinnovamento delle modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative.

Analisi del mismatch tra istruzione/formazione e lavoro

Così il divario tra domanda e offerta va progressivamente allargandosi. Il disallineamento, persistente da tempo, tra il mondo del lavoro e quello dell’istruzione e della formazione, ha generato un’enorme distanza tra offerta e domanda di lavoro.

L’Italia è considerata tra i primi Paesi del globo per l’alto disallineamento al mondo tra gli indirizzi di studio scelti dai giovani e le esigenze del mercato del lavoro, è ciò comporta una tra le più alte penalizzazioni economiche.

Un netto divario tra gli obiettivi formativi e le competenze professionali generate dal mancato dialogo tra le aziende e il sistema della formazione e dell’istruzione.

Uno “skills mismatch” che non va confuso con lo “skills gap”- deficit di abilità: il problema quindi non è l’assenza di potenziali lavoratori, ma la mancanza di corrispondenza tra le loro competenze e le mansioni che devono svolgere.

Antonio Perrone, Segretario Territoriale della Cisl di Lecce

Un profondo disallineamento tra alta qualificazione e lavori a bassa qualificazione professionale e basso salario. Attività a basso valore aggiunto spesso connotate da tipologie contrattuali a termine.

Per tali ragioni la fuga dal territorio resta ancora oggi, anche per i giovani salentini, la risposta alla domanda di presente e di futuro. Basti pensare che l’indice migratorio della provincia di Lecce (dati Istat 2019) si attesta intorno alle 1000 unità annue.

Ciò comporta un progressivo depauperamento del capitale umano che provoca un continuo e progressivo calo del Pil prodotto dal Sud ampliando ulteriormente i divari con le altre aree del Paese. Un tema cogente che può trovare soluzione solo all’interno di un nuovo dialogo tra i sistemi.

Oggi la velocità delle transizioni, endogene ed esogene al mercato del lavoro, e le complesse esigenze di lavoratori ed imprese rendono inadeguate e poco attuali le politiche di istruzione, formazione e lavoro, che intervengono solo in maniera reattiva e senza fotografare in modo accurato le necessità dei destinatari ed i trend in atto nel mercato del lavoro.

In tal senso deve muoversi un sistema di istruzione e formazione, ponendo il discente al centro, mediante processi di personalizzazione e flessibilizzazione dei percorsi.

Così come occorre che i sistemi avviino processi di monitoraggio e anticipazione delle competenze professionali, recentemente descritte dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) come strategiche per la governance delle dinamiche di incontro tra domanda ed offerta di lavoro e competenze.

Transizione Digitale, Transizione Ambientale e Transizione Demografica

Esaminando l’attuale contesto socio-economico vediamo che esso è caratterizzato da almeno tre grandi transizioni già in atto e in sinergia tra loro: la Transizione Digitale, la Transizione Ambientale e la Transizione Demografica.
Si tratta di trasformazioni che influenzeranno profondamente la società sotto diversi aspetti, soprattutto, la struttura occupazionale nel prossimo futuro.

L’impatto della “Transizione Digitale” sul mercato del lavoro dipenderà, innanzitutto, dalla possibilità effettiva di sostituire lavori routinari (sia semplici che complessi), e nel contempo soddisfare la domanda di nuove figure professionali altamente qualificate con competenze molteplici e specifiche richieste dalle aziende. Infatti sono richieste competenze digitali, come l’uso di tecnologie Internet, e capacità di gestire e produrre strumenti di comunicazione visiva e multimediale; ed ancora, la capacità di utilizzare linguaggi e metodi matematici e informatici per organizzare e valutare informazioni qualitative e quantitative; ed infine, la capacità di gestire soluzioni innovative applicando tecnologie robotiche ai processi aziendali, anche in linea con quanto previsto nel ‘Pacchetto Industria 4.0

Dall’altra parte, il lavoro si trasformerà in chiave 4.0, rendendo necessarie competenze in modo trasversale a diverse professioni per sfruttare le tecnologie qualificanti.

Il nuovo lavoratore deve, dunque, stare al passo con i tempi acquisendo competenze specifiche oltre che prendere dimestichezza con le competenze trasversali o “soft skills” quali empatia, problem solving, intelligenza emotiva, lavoro in team e non solo tra individui, ma anche in un combinato disposto di persone ed intelligenza artificiale in luoghi lavorativi virtuali che imitano quelli fisici.

Ciò ha comportato la polarizzazione delle competenze. Da un lato la nascita di nuove professioni ha richiesto e generato una crescita di lavoratori con solide abilità trasversali, conoscenza nel campo digitale, lavoratori altamente qualificati, i cosiddetti Lavoratori “high skilled”; dall’altro c’è stato un incremento di lavoratori, di gran lunga superiore rispetto ai primi, con conoscenze e competenze obsolete, con titoli di studio bassi, con carenze culturali e linguistiche nonché con rilevanti svantaggi socio-culturali, i cosiddetti lavoratori “low skilled”.

Parallelamente abbiamo l’impegno in campo energetico ambientale dalle maggiori economie mondiali, la cosiddetta “Transizione Ambientale” tema su cui si sono fortemente incentrate le discussioni nell’ultimo G20 chiuso il 31 ottobre 2021 a Roma.

Essa rappresenta una strategia di crescita basata su inclusione e innovazione. Gli ambiziosi obiettivi ambientali prefissati, possono favorire lo sviluppo di nuove opportunità occupazionali in tutte le attività legate alle tecnologie rinnovabili, con effetti positivi in tutti i settori ad esse connessi.

All’opposto, l’industria del carbone con i settori ad essa intrinsecamente collegati, subiranno importanti contrazioni, liberando lavoratori – perché a rischio obsolescenza professionale- che dovranno inevitabilmente riconvertirsi altrimenti non troverebbero allocazione sul mercato del lavoro.

La ricaduta sui lavoratori da questa inevitabile “transizione ecologia”, è la richiesta di green skill che non coinvolgerà unicamente le figure specializzate ma, al contrario tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro occupazione, perché saranno chiamati ad assumere tutte quelle buone pratiche che riducendo sprechi, riutilizzando in un’ottica di circolarità degli scarti, acquisiscano consapevolezza in un corretto uso delle risorse naturali ed energetiche.

Tra queste due transizioni, si innesta la “Transizione Demografica”, un processo demografico, che ha reso la forza lavoro multigenerazionale e con modelli di spesa e consumi tendente alla “silver economy”, un settore vario derivante da una forte tendenza demografica all’invecchiamento. Pertanto saranno fondamentali tutti quei processi di inclusione degli over 50 nel mondo del lavoro, rafforzando i loro skill attraverso la formazione formale e informale.

Siamo in presenza di una fase di transizione continua, dove l’irreversibilità dei processi culturali in atto confermano che nulla tornerà come prima! E la Pandemia ha accelerato e consolidato ancora di più questi cambiamenti.

In un recente articolo, apparso su Il Sole 24 ore, viene messo in evidenza come i nuovi lavoratori dovranno necessariamente stare al passo con i tempi, adeguarsi ai progressi portati dall’intelligenza artificiale, dall’automazione e dalla trasformazione delle aziende che tendono sempre più a produrre su piattaforme globali.

Analizzando il lavoro che c’è nel nostro Salento, in questi ultimi anni, il settore che ha maggiormente fatto assunzioni è quello delle telecomunicazioni, in particolare nei settori Call Center, e con la Pandemia Prima e la riapertura poi, i supermercati, soprattutto per la consegna a domicilio della spessa, i rider per la consegna del cibo e i lavoratori di Amazon (qui a lecce solo per la fase di distribuzione e consegna pacchi).

Con la ripresa del turismo e degli esercizi commerciali ad esso collegati (hotel, ristorati, bar, stabilimenti balneari), abbiamo avuto forte richiesta di, addetti alle pulizie, camerieri, barman, cuochi e aiuto cuochi, bagnini, addetti alla sicurezza, ecc.

Infine, con la misura del 110% in edilizia e l’incoraggiante ripresa del settore metalmeccanico, c’è stato un incremento della domanda di operai, sia tradizionali che specializzati.

I dati relativi alla situazione occupazionale ci dicono della necessità di attivare innovative politiche attive per il lavoro, che intercettino ed aiutino il percorso delle “transizioni nella crescita” che il nostro Paese ed i singoli territori devono compiere.

Occorrono buone politiche attive del lavoro che si reggono e camminano sulle gambe di efficienti ed efficaci servizi per l’impiego.

Il primo interrogativo che ci si deve porre è quindi se non sia giusto pensare o ripensare ad una modulazione ad intensità differenziata di politiche attive e servizi per l’impiego in relazione all’intensità del dramma occupazionale.

La missione del Pnrr

La specifica missione del Pnrr può e deve perseguire un obiettivo di riequilibrio territoriale del Paese, in questa direzione così come in quella delle infrastrutture, della sanità ed altre. Perseguendo, anche in questo campo, un livello di accesso, di qualità dei servizi e di opportunità come esercizio del diritto di cittadinanza che dovrebbe sentire proprio ogni uomo e donna di questa Repubblica, specie se giovane, specie se del Mezzogiorno.

Se le politiche attive del lavoro rappresentano un fattore strategico in direzione della crescita e delle transizioni del Paese e dei territori, i servizi per l’impiego diventano fondamentali per un efficace attivazione delle politiche attive del lavoro.

Lo stato dell’azione pubblica dei servizi per l’impiego, svolta attraverso i Centri per l’Impiego, non riesce, almeno nei nostri territori, a superare decisamente la mera funzione certificativa dello stato di disoccupazione. C’è stata, nel tempo, colpevole disattenzione verso queste strutture. Gli sforzi del personale impiegato, in assenza di adeguati investimenti in dotazioni organiche, formazione ed attrezzature, sono stati mortificati nell’obiettivo di sviluppo delle funzioni innovative, rivolte ad un orientamento personalizzato, dei giovani e non, ad un consapevole bilancio delle competenze, ad intercettare i bisogni professionali dei sistemi produttivi locali, al dialogo con il territorio, riducendo il loro dinamismo ad una, pur importante, ma limitante, attività di promozione di tirocini formativi.

Più dinamica è risultata l’azione delle Agenzie per il Lavoro che ormai hanno radicato la loro attività nel nostro territorio, diventando riferimento privilegiato, spesso efficaci, sia di chi un lavoro lo cerca, anche qui soprattutto, ma non solo, giovani di importanti settori imprenditoriali che, attraverso le stesse Agenzie e gli istituti contrattuali da esse prevalentemente praticati, a partire dalla somministrazione, regolano l’accesso e la selezione del personale, sia nella condizione di flessibilità e/o precarietà della natura della prestazione lavorativa che in una prospettiva di stabilizzazione della stessa.

Occorre ora promuovere un salto in avanti per l’intero sistema dei servizi per l’impiego, generativo, insieme ad una forte integrazione ed interazione del servizio pubblico con quello privato, di una logica di sistema che consenta all’insieme di questi servizi di essere strumento efficace di un collegamento dinamico fra rilevamento in divenire dei fabbisogni di personale nell’evoluzione dei sistemi produttivi e sociali locali ed agenzie formative, anche queste pubbliche e private.

I servizi per l’impiego possono divenire il vero anello di congiunzione fra domanda e offerta di lavoro solo se si riuscirà a creare positive connessioni fra sistemi territoriali a rete (a loro la responsabilità di rendere sistemiche le giuste intuizioni e le buone prassi realizzate in questi anni), agli attori sociali, economici ed istituzionali la responsabilità di cogliere il valore strategico di questa necessità e di costruire percorsi di co-progettazione di un sistema che sarà vitale per sostenere qualsiasi  idea di futuro del territorio. Generando e trattenendo le competenze del fattore umano, valorizzando la spinta innovativa dei giovani, oggi costretti a lasciare i nostri paesi; occorre costruire sviluppo e transizioni. Questo interroga il ruolo di imprenditori, sindacati e istituzioni. Le occasioni per dare segnali di discontinuità, affinché anche su questi temi si operi una transizione, non mancheranno a partire dell’Agenda Lavoro che la Regione Puglia sta elaborando.