
C’è chi dice no! La decisione del Governo Italiano di sostituire – a partire dal 1° gennaio 2024 -, per effetto del Decreto Sud, le attuali 8 Zone Economiche Speciali (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Molise, Sicilia e Sardegna) con una Zes unica che dovrà essere gestita da una cabina di regia con sede presso la Presidenza del Consiglio, trova la netta opposizione di Federaziende, la Confederazione nazionale delle piccole e medie imprese, dei lavoratori autonomi e dei pensionati.
Talvolta le sigle e gli acronimi corrono il rischio di rendere di difficile comprensione questioni che sono importanti, anzi fondamentali per lo sviluppo dei territori e di conseguenza per il bebessere dei cittadini. Vediamo allora di capire di cosa si tratta.
Istituite nel 2017, le Zone Economiche Speciali sono diventate operative solo nel 2021. La Zes è un’area geograficamente limitata, nella quale le aziende già operative – e quelle che decidono di insediarvisi – possono beneficiare di speciali condizioni per gli investimenti sul territorio. I benefici principali consistono in esenzioni parziali o totali sui dazi o semplificazioni amministrative per gli investimenti. Dal 2024 il Governo Meloni ha deciso di unificare tutte queste realtà, differenti per peculiarità sociali e vocazioni economico-organizzative, per farne un’unica area di attrazione per gli investimenti.
Anche chi in linea di principio è favorevole a un’idea di una grande misura di incentivo allo sviluppo industriale del Sud e di tutte le aree deprivate del Paese, si trova in profondo disaccordo con la scelta ministeriale.
«La Zes unica per come voluta nel Decreto Sud dal Ministro Fitto non migliorerà le condizioni economiche del Mezzogiorno d’Italia e soprattutto delle piccole e medie imprese, degli artigiani e commercianti del nostro territorio per oggettive ragioni tecniche», afferma Eleno Mazzotta, Segretario Generale Nazionale di Federaziende. «Stiamo assistendo a un commissariamento del Sud e di tutte le sue istituzioni con un nuovo centralismo che, da un lato, concede un’autonomia differenziata al Nord, ossia alla parte più ricca del Paese, alla quale si permette di andare avanti da sola mantenendo i soldi che produce e nel mentre si realizza una scatola vuota denominata Zes Unica completamente priva di copertura finanziaria e con una dotazione di personale (circa 60 unità) insufficiente a garantire le agevolazioni previste e il buon andamento della pubblica amministrazione».
La presa di posizione di Federaziende trova riscontro nel prestigioso riconoscimento ottenuto dalla Zes Adriatica Puglia-Molise. Quest’ultima, infatti, è stata riconosciuta come una delle top 50 Zes al mondo: la Gasez (l’Alleanza globale delle oltre 7mila Zes e Zone franche) ha annoverato la zona economica speciale pugliese tra le migliori in quanto a best practice in tema di sostenibilità, nel corso del World Investment Forum di Abu Dhabi. È l’unica in Italia ad aver ricevuto questo riconoscimento e questo lavoro potrebbe essere vanificato proprio dallo smantellamento della struttura esistente.
«Per tutte le PMI già ricadenti in una delle 8 Zes certamente peggioreranno le condizioni di sviluppo economico – afferma Mazzotta –. Si rifletta sulla circostanza che con la Zes unica si ampliano le aree ricadenti in zona economica speciale di 500 volte e che le 8 zone nel primo anno di attività hanno richiesto crediti d’imposta per 2 miliardi. Mentre ora si dota l’intera Zes unica di soli 1,8 miliardi di risorse. Ma non basta: il problema che si stanno ponendo gli imprenditori aderenti alla nostra organizzazione riguarda anche le istanze già autorizzate. Poniamo il caso di un’azienda che ha già opzionato i terreni e deve solo costruire la fabbrica: nell’incertezza normativa, quella società blocca le opere. È troppo elevato il rischio che possano non bastare le risorse per ottenere il credito d’imposta. E qui torniamo al discorso di prima: le Zes hanno funzionato, sino a ora, perché hanno garantito certezza normativa e finanziaria. Non vorremmo che la riforma Fitto rimettesse in discussione tutto. Un imprenditore, giustamente, non investe i propri danari in condizioni di incertezza».