Catania-Lecce, la sfida amarcord raccontata da Alessandro Russo

Lo scrittore catanese racconta a Leccenews24 alcune partite tra la compagine etnea e quella salentina che hanno fatto storia nelle sfide tra rossazzurri e giallorossi.

Buongiorno, i miei rispetti agli amici giallorossi.
 
Sabato tredici febbraio alle venti e trenta, ventiduesima giornata del girone C del campionato italico di Lega Pro, al ‘Massimino’si giocherà Catania-Lecce. Trame confuse, nessun filtro a centrocampo e scarso mordente, e poi lanci lunghi, pochi fraseggi e nessun tiro in porta. Ecco i legionari del glorioso drappello etneo nato un sacco di tempo fa: per molti nel quarantasei per altri nientemeno che nel ventinove.

Nondimeno, oggi dì, codesti ragazzotti mostrano inquietanti cali di tensione e subiscono senza reagire. Zero triangolazioni e gioco alla ‘viva il parroco’, per di più senza un capitano a dettar i tempi. A dirla tutta, un condottiero non sta seduto in panca e manco nella stanza dei bottoni. Ordunque, alle pendici della Muntagna, i calciatori dicono d’esser senza testa e si muovono al rallentatore; di contro Pippo Pancaro, calabrese dalla zucca dura, ripete frasi fatte. Breve, da queste parti l’obiettivo è la salvezza non già della squadra ma dell’intera combriccola matricola 11700. Vi sto dicendo tutte queste cose perché giurai che non avrei parlato qui del patron e dei guai del club di pallone a cui son legato da bambino, da quando l’ammiravo a bordo campo accanto ad Angelo Massimino, mio nonno. Pur tuttavia, resto ottimista e siccome agli dei del calcio ci credo davvero, so che sabato sera i rossazzurri faranno una gran partita e magari vinceranno per uno o due a zero.
 
Propriamente cinque anni fa, in serie A,domenica tredici febbraio duemilaundici, rammento lo stopper Silvestre scardinare il bunker pugliese, deviando in rete un servizio di Llama. Epperò, i salentini mettevano i puntini sulle ‘i’ dapprima con Jeda e poi con Munari. Dieci i minuti che ci separavano dal triplice fischio, pesante l’aria che si respiravasugli spalti affacciati al rettangolo verde di piazza  Spedini. A un certo punto s’involò in area il Papu Gomez prima d’esser poi abbattuto ma la giacchetta nera col fischietto in bocca disse che non era rigore. Una superba pennellata di Francesco Lodi su calcio di punizione santificò il 2-2. Passati ancora cinque minuti, rivedo il fotogramma di Maxi Lopez che sacrifica le ultime energie in un pressing disperato. Il direttore di gara abboccò e vide un fallo dal limite. Quel pomeriggio il piede sinistro del numero dieci rossazzurro era fatato e il pallone lo spedì ancora una volta alle spalle di Rosati. Vennero fuori tre punti vitali e lo stadio si tramutò in una sarabanda festosa, che pareva di nuovo la festa di Sant’Agata.
 
Un’altra volta che il Lecce scese giù era ancora febbraio ma l’anno era il duemilatre e si era tra i cadetti. Quella domenica girovagava per il campo Lulù Oliveira,un brasiliano con passaporto belga. Questi parlava bene il dialetto catanese e somigliava a un personaggio mitologico; indossava calzari dorati d’omeriana memoria e segnava da tutte le posizioni. Ci pensò lui a griffare il vantaggio del Liotro, prima che i compagni rimanessero con uno in meno, per l’espulsione di Vito Grieco. Quando, poi, igiallorossi beneficiarono d’un tiro dagli undici metri accaddero due prodigi. Uno lo realizzò il portiere Castellazzi volando a ribattere il penalty, l’altro lo fece l’ala destra Fini che raddoppiò con un corner velenoso. Infine il signor Bruno Cirillo, un difensore di Castellamare di Stabia, accorciò le distanze. 
 
Prima di chiuderla qua, m’impone la legge dello sport di commemorare due en-plein pugliesi in terra catanese. Lo faccio senza storcere il naso e parto da un pomeriggio di quasi settantacinque anni orsono, settima giornata d’un campionato di C.
 
È domenica sette dicembre del quarantuno e son convinti gli etnei di far un boccone dei salentini, tanto più che questi si presentano al Cibali con dieci soli atleti. Ci pensa la bandiera Bettini a far harakiri al settantesimo, beffando il portierino Caruso. Si dispera in panchina mister Geza Kertèsz che tre anni dopo sarà fucilato nella sua Budapest per aver salvato da morte certa decine d’ebrei. Quando l’amministrazione comunale lo vorrà, una via della città dell’Etna porterà il suo nome.
 
Nell’ultimo confronto al ‘Massimino’ la barchetta rossazzura condotta dall’Aeroplanino Montella sta solcando i mari della A ma è sazia e priva di carburante. Il calendario appeso al muro nello stanzone degli spogliatoi segna la data di mercoledì undici aprile duemiladodici. L’elefante va in vantaggio con Bergessio ma,in zona Cesarini, Corvia e  Di Michele regalano i tre punti ai lupi che d’altronde ne hanpiù bisogno.
 
Shalom.
 

Alessandro Russo
coautore del libro
“TUTTO IL CATANIA MINUTO PER MINUTO”
Geo Ed. 2011



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