Graziella Mansi, la storia della bambina bruciata viva per gioco

#accaddeOggi. Il 19 agosto 2000 Graziella scompare nel nulla dopo aver detto al nonno che sarebbe andata a prendere l’acqua alla fontanella. Fu ritrovata senza vita nel bosco di Castel del Monte

Una bambina dagli occhi neri, un gruppo di ragazzi ‘difficili’, un borgo, quello di Andria, che diventa teatro di una tragedia. Sono i protagonisti della storia, terribile, di Graziella Mansi, torturata, uccisa a otto anni senza motivo, bruciata viva e abbandonata nel bosco di Castel del Monte. «Aveva paura e questo ci faceva divertire ancora di più», dirà uno dei suoi assassini.

La scomparsa di Graziella

19 agosto 2000. Mancava qualche minuto alle 19.00 quando la piccola si allontana dal banco di noccioline del nonno, venditore ambulante, a pochi passi dal Castello medievale. Fa caldo e Graziella vuole riempire una bottiglietta d’acqua alla fontanella vicina. Passa un po’ di tempo e la bambina non torna. Potrebbe essersi fermata a parlare con qualcuno, perché preoccuparsi? Ma quando i minuti diventano ore, non è più possibile nascondere l’angoscia. È notte quando la famiglia bussa alla pota della caserma dei carabinieri per denunciare la scomparsa della bambina. Tutti cercano Graziella, tutti gridano il suo nome. Il papà stringe tra le mani la fotografia della figlia. “Graziella, Graziella, Graziellaaaaaa“. Le voci diventano un coro che grida sempre più forte. È buio, è tardi, in qualsiasi posto si trovi a quell’ora, non è un bel posto.

Il corpo trovato nel bosco di Castel del Monte

Le ricerche non durano a lungo e si concludono nel peggiore dei modi. Un urlo, straziante, non fa pensare a nulla di buono. Graziella era “nascosta” in un boschetto di Castel del Monte, non lontano dal luogo della scomparsa, ma il suo corpicino parla, senza bisogno di un’autopsia che servirà solo a confermare l’orrore. La bambina era stata torturata come dimostrano i segni. E, cosa peggiore, era stata bruciata viva. È stato il fumo che si levava dagli ulivi ad attirare l’attenzione degli uomini in divisa. È bastato seguirlo per avere risposte. Chi l’aveva rapita probabilmente voleva violentarla.

Pasquale Tortora e i complici

Finiscono le ricerche, comincia la lunga notte delle indagini. La pista seguita conduce a un ragazzo del posto Pasquale Tortora, ventenne parcheggiatore abusivo che si aggirava spesso davanti alla bancarella di frutta secca dei Mansi. Era stato notato più volte mentre guardava Graziella, ma non aveva mai destato preoccupazione. I carabinieri lo hanno accompagnato in caserma e non ci hanno messo molto a notare la sua maglietta sporca di terra e un graffio sul volto. “Mi piaceva, era bella” dice agli inquirenti che lo torchiano.

Durante il lungo interrogatorio cade più volte in contraddizione, poi crolla e racconta, fotogramma dopo fotogramma, il film dell’orrore. “Con una mano la tenevo ferma e con l’altra la bruciavo” dice, con quella faccia da bravo ragazzo che non rispecchia quello che ha fatto. L’unica cosa che Pasquale non dice è perché lo ha fatto.

Sembra che abbia convinto la piccola a seguirlo con la promessa di mostrarle dei cuccioli. Una scusa per attirarla in una trappola. “L’ho portata nel bosco con la scusa di farle vedere un cagnolino, le ho dato fuoco, si è come sciolta”. Caso chiuso. In un piccolo paese una notizia come questa ci mette un secondo a fare il giro, ma non era finita.

«Giochiamo a bruciare la bambina»

Tortora punta il dito su quattro ragazzi di Andria, Michele Zagaria, Giuseppe Di Bari, Domenico Margiotta e Vincenzo Coratella. Tutti poco più che diciottenni. C’erano anche loro quando la bambina, come ha raccontato Pasquale, «s’ è come sciolta» nelle fiamme. Gli inquirenti erano già arrivati alla conclusione che non poteva aver agito da solo. Se non altro, per un motivo: Tortora non aveva nessun segno di bruciatura sulle gambe e sulle braccia. Se avesse tenuto il piede sul corpo della bambina, avrebbe dovuto avere almeno qualcuna. “L’ho bruciata tenendola ferma con un piede” aveva detto il ragazzo quando aveva confessato l’omicidio.

“Graziella aveva paura e questo ci faceva divertire ancora di più. Volevamo torturarla un po’ , ma solo per farle un po’ male. Non volevamo violentarla, era soltanto un gioco, volevamo divertirci con lei. Poi, è uscita l’ idea del fuoco. Ci pensavamo da giorni, a giocare nel fuoco. Bevevamo birra e ci esaltavamo a giocare, a tenerla. Abbiamo raccolto sterpaglia, intorno, abbiamo legato la bambina. E il fuoco l’ ha coperta” racconterà uno dei complici.
I ragazzi ci pensavano “da tempo” a ‘giocare con il fuoco’. E dopo quello che avevano fatto si erano presentati al funerale della bambina, in lacrime.

Il primo processo si chiude con l’ ergastolo, il massimo della pena per tutti gli imputati. Trent’anni, invece, è la pena inflitta a Pasquale Tortora, giudicato prima in abbreviato.

Otto anni dopo, Vincenzo Coratella si impicca alla branda della cella con la corda dell’accappatoio. “La mia vita è finita”, aveva confessato alla mamma.



In questo articolo: