25 aprile, non c’è Libertà senza Liberazione. Ieri come oggi

Ricordare le tragedie del regime nazista, alleato con quello italiano, è un dovere civico ed è ancora più utile nel giorno in cui l’Italia festeggia  una libertà pagata a prezzo altissimo.

Il 25 aprile è il giorno della Festa della Liberazione. Una data segnata in rosso sul calendario per ricordare l’importanza della Resistenza e della lotta dei partigiani contro il regime nazifascista. Ma non bisogna dimenticare che la Liberazione fu solo la fine di una brutto capitolo, di una pagina nera della storia italiana segnata da orrori. Ricordare le tragedie del regime nazista, alleato con quello italiano, è un dovere civico ed è ancora più utile nel giorno in cui l’Italia festeggia  una libertà pagata a prezzo altissimo. Nel lavoro del giornalista mantenere un certo distacco dal ‘pezzo’ risulta efficiente e funzionale, ciò consente automaticamente di essere lucidi e imparziali e di confezionare per il lettore un articolo il più neutro possibile, scarno di opinioni e ideologie personali. Confesso, dunque, di non essere stata molto professionale mentre ho iniziato a scrivere quanto leggerete, perché spesso le lacrime hanno attraversato il mio viso e altrettanto spesso ho dovuto fermarmi, riprendere fiato e ricominciare con un nodo alla gola.

Proviamo insieme, perchè non sarà facile neanche per voi lettori, a rivivere l’orrore e l’incubo più efferato che il genere umano abbia mai potuto consumare, dove la cruda realtà ha superato anche la più cupa e remota fantasia. Ci aiuteremo approfondendo i termini chiave che caratterizzarono quegli anni mostruosi e vi guiderò, senza filtri, in questo agghiacciante disegno di morte, perché conoscere, sino in fondo, significa non dimenticare e non ripetere.

Olocausto: dal greco ‘bruciato interamente’, il termine indica il genocidio di cui furono responsabili le autorità della Germania nazista e i loro alleati mirato allo sterminio di tutte quelle categorie di persone ritenute ‘indesiderate’ o ‘inferiori’ come ebrei, minoranze etniche, oppositori politici, omosessuali e portatori di handicap fisici e mentali al fine di creare una razza ‘pura’ e ‘superiore’. L’olocausto, in quanto genocidio degli ebrei, è indicato più correttamente con il termine Shoah che in ebraico significa ‘distruzione’, ‘catastrofe’ in quella che era diventata una precisa e spietata selezione del genere umano.

Treni della morte: erano i trasporti ferroviari sotto il controllo della Germania nazista utilizzati per la deportazione forzata degli ebrei nei campi di concentramento e sterminio nazisti, vagoni per merci o bestiame che contenevano sino a 150 deportati anche se 50 era il numero indicato dal regolamento. Non veniva fornito nè cibo, nè acqua, tutto ciò su cui potevano contare questi corpi destinati alla morte certa erano una latrina a secchio e una piccola finestra con ventilazione insufficiente che spesso portava alla morte per soffocamento. Una volta scesi dal treno i prigionieri venivano divisi per categorie e spesso anziani e malati potevano essere fucilati per una morte immediata, mentre gli altri venivano preparati per le camere a gas.

Campi di sterminio: conosciuti anche come ‘campi della morte’ istituiti dai nazisti per facilitare e accelerare l’assassinio di massa e diversamente dai campi di concentramento, che servivano principalmente come campi di detenzione e di lavoro, erano esclusivamente vere e proprie ‘fabbriche di morte’.

Filo spinato: una doppia recinsione con filo elettrificato simile a una sedia elettrica, alcuni deportati hanno cercato la morte in questo modo, sfiniti dall’andare avanti come fantasmi in una vita che era solo vegetativa.

Camere a gas: consistevano in una stanza o in un corridoio dove i prigionieri venivano asfissiati tramite gas tossici, persone non meritevoli di vivere e sterminati in maniera veloce ed efficace in quella che era definita come la ‘soluzione finale’. Una vera e propria macchina di distruzione tecnico-organizzativa ad opera di ‘specialisti della morte’ dove donne, uomini e bambini morivano in questa ‘doccia’ letale, corpi identificati solo da un numero su un pigiama a righe e poi denudati che si riversavano a terra, sfiniti da quella non vita, privati di ogni dignità, sconfitti in qualsiasi diritto umano, lasciati morire in massa e poi inceneriti nei forni crematori, una realtà talmente crudele ed efferata da non credere possa essere stata concepita da menti umane.

Il 25 aprile si festeggia in tutta Italia la Festa della Liberazione, data in cui partì l’appello per l’insurrezione armata della città di Milano, sede del comando partigiano ed è questa la giornata simbolo per festeggiare quel prezioso concetto di libertà e ricordare 15 milioni di vittime dell’Olocausto, 15 milioni di uomini, donne e bambini, 15 milioni di anime, 15 milioni di pigiami a righe, di scarpe numero 26 di piedini mai cresciuti, di bambole abbandonate, di capelli rasati, di denti caduti, di ossa spezzate, di sangue versato, di lacrime ingoiate, di piaghe mai sanate e di corpi asfissiati.

In questi 15 milioni di persone vogliamo chiedere perdono a te come simbolo dei 15 milioni di corpi martoriati e di anime calpestate, a te numero 2638, a te di cui non sappiamo nulla, non sappiamo il tuo nome, non sappiamo la tua età, non sappiamo neanche il tuo sesso, se avevi dei figli, se eri innamorato, che lavoro facevi e come passavi il tuo tempo libero, sappiamo solo che eri il numero 2638 e di certo proviamo infinita vergogna a rivolgerci a te perchè anche noi facciamo parte, nostro malgrado, di quella categoria effettivamente inferiore e mediocre chiamata genere umano che ti ha sottratto la vita in maniera così indegna e impietosa, una vita che ha trovato giustizia solo in un mondo superiore e ultraterreno.

Che la storia sia conosciuta, raccontata, condivisa e che ci aiuti a comprendere profondamente e soprattutto a non ripetere mai più sino alla fine dei tempi. Non sarà mai abbastanza, ma certamente anche noi non perdoneremo e non dimenticheremo mai. Ricordare serve a capire l’oggi e a spiegare che senza lotta non c’è pace, non c’è giusta pace. Chi ha orecchie per intendere, intenda!