Qui, una volta, saltavano le lepri. Era un paradiso di natura a ridosso del mare, il luogo ideale per unire mondi diversi e tentare di fare turismo in largo anticipo rispetto al giorno d’oggi. Alla fine degli anni 60 parlare di turismo non era la stessa cosa che intendiamo oggi e i collegamenti aerei non erano ancora così strategici, ecco perché la realizzazione di uno scalo in una zona a forte vocazione di sviluppo sembrava davvero l’idea giusta per il territorio di Lecce.
Eh sì perché nonostante lo scalo sia stato pensato in agro del comune di Vernole, per tutti è sempre stato l’aeroporto turistico di Lecce, che ha vissuto un primo momento di oblio, a metà degli anni 80 e un secondo momento di oscuramento, pressoché definitivo, agli inizi degli anni 2000. A metà degli anni 90 un progetto di rilancio aveva rimesso lo scalo di Lecce-Lepore al centro delle pretese di promozione del turismo salentino, dotando l’aeroporto di un nuovo e più moderno protagonismo.
Insieme alle Cesine, al campo da golf, alle marine e alla cittadella fortificata di Acaya, doveva essere il centro di un sistema propulsivo per la creazione di un nuovo modello di turismo. Doveva, appunto.