Il rapimento di Aldo Moro e tutti i misteri di via Fani

La Honda blu presente in via Fani il 16 marzo 1978, giorno in cui il Presidente fu rapito, è solo uno dei tanti misteri-rompicapo nel caso di Aldo Moro

16 marzo 1978. Qualche minuto dopo le 9.00, un commando armato delle Brigate Rosse rapì il Presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro e uccise cinque componenti della sua scorta. Quella mattina, in via Fani mnel quartiere Trionfale a Roma, era iniziata una delle pagine più tristi e controverse della storia italiana, un capitolo durato 55 giorni e terminato tragicamente il 9 maggio, quando il corpo dello statista di Maglie fu ritrovato, grazie ad una telefonata, nel bagagliaio di una Renault4 rossa “abbandonata” in via Caetani, poco distante dalle sedi del Partito Comunista Italiano e della Democrazia Cristiana.

I misteri di via Fani

Nonostante la ricostruzione di quell’agguato restano ancora oggi molte zone d’ombra. Uno dei tanti rompicapi, mai risolti, ruota intorno ad una misteriosa moto Honda di colore blu con due persone a bordo che un testimone dichiarò di aver visto in via Fani, durante quei drammatici momenti. Moto da cui vennero sparati dei colpi: una raffica partita da un piccolo mitra fu scaricata contro il passante ‘ad altezza d’uomo’, ma le Brigate Rosse hanno sempre negato che i due viaggiatori – un giovane di circa 20-22 anni, molto magro, con il viso lungo e le guance scavate, che ricordava molto l’attore Edoardo De Filippo e un uomo con il passamontagna scuro – facessero parte del commando. “Non è roba nostra” dichiararono Mario Moretti e Valerio Morucci .

Una lettera anonima pare scritta dall’uomo che era sul sellino posteriore della Honda blu, ingrediente d’obbligo in ogni spy story, riaccese i riflettori su quella moto di grossa cilindrata. «Quando riceverete questa missiva, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose, ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente…».

Lo scritto – inviato al quotidiano torinese La Stampa nell’ottobre 2009 – era arrivato sul tavolo di Enrico Rossi, ispettore di polizia in pensione, nel 2011 che a lungo ha indagato su quella missiva. La confessione post mortem e le rivelazioni del poliziotto all’Ansa, però, hanno soltanto creato nuovi interrogativi.

Su chi fossero i due uomini a bordo della Honda sono state fatte diverse ipotesi: due romani in `cerca di gloria´? Plausibile ma allora perché sparare per uccidere? Due uomini della `ndrangheta o, come ha ventilato anche il pm romano che ha indagato a lungo sulla vicenda, uomini dei servizi segreti?

L’uomo dei Servizi

Certo che quella mattina a pochi passi da via Fani c’era, per sua stessa ammissione, anche Camillo Guglielmi, chiamato in causa nella lettera anonima. Il colonnello del SISMI confermò che quella mattina era in via Stresa, a duecento metri dall’incrocio con via Fani, perché doveva andare a pranzo da un amico.

Le foto e le borse del Presidente sparite nel nulla

C’è un altro giallo, dimenticato tra i fiumi di parole scritte sul rapimento di Aldo Moro. Quel giorno, un residente di via Fani si trasformò, suo malgrado, in spettatore del sequestro. Dal balcone della sua abitazione scattò diverse foto, che immortalarono per sempre sulla pellicola la strage e la fuga del commando. Di quegli scatti, consegnati dalla moglie dell’uomo a qualcuno, non si saprà più nulla. Il rullino scomparve come le ‘famose’ borse contenenti i documenti riservati del presidente della Dc che non finirono nelle mani delle Brigate rosse. Chi ha sottratto la ventiquattrore scura e la cartella di pelle marrone dalla Fiat “130”? Le altre tre valigie furono ritrovate e riconsegnate alla famiglia, ma quelle importanti no.

A questi interrogativi, rimasti senza risposta, si aggunge il mistero del covo di via Gradoli e della seduta “spiritica”.



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