L’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, il ‘Mr President’ mai dimenticato

A Dallas, in Texas, il 22 novembre del 1963, di fronte ad una folla di cittadini accorsi in strada, andò in scena uno dei crimini più noti della storia: quel giorno moriva il John Fitzgerald Kennedy politico e nasceva il JFK mito

Il 22 novembre 1963, alle 12.31, tre colpi di fucile cambiarono il corso della storia. Quel giorno a Dallas, in Texas, andò in scena il crimine più controverso e indagato del ventesimo secolo: l’assassino di John Fitzgerald Kennedy, il più giovane Presidente degli Stati Uniti d’America.

3 colpi di arma da fuoco, sferrati in meno di otto secondi, un tempo più che ragionevole per un tiratore scelto, riuscirono ad ammutolire il mondo intero. Il primo venne sparato a vuoto. Il secondo, quello che fu chiamato “il proiettile magico”, colpì il Presidente alla schiena. Il terzo alla testa, provocandogli la ferita che sarà poi mortale. Il tutto sotto gli occhi impietriti della moglie Jacqueline che si trovava con lui a bordo della limousine, una Lincoln Continental del 1961, nella Dealey Plaza. Alcuni testimoni raccontarono di aver udito anche un quarto colpo, ma non c’è alcuna certezza.

A premere il grilletto, dal sesto piano della Texas School Book Depository, fu un “matto isolato”, un “lone wolf”, Lee Harvey Oswald, un ragazzo di 25 anni con un passato nei Marine e una diserzione in Urss ed impiegato nel deposito di libri. Per la Warren Commission, composta da sette alte personalità del Congresso e dell’alta burocrazia americana, e guidata dal presidente della Corte Suprema, Earl Warren, costituita per indagare sul delitto, l’assassino aveva un nome e cognome. Eppure conoscere la mano che aveva messo fine alla vita dell’uomo più potente della terra, del più affascinante e carismatico inquilino della Casa Bianca, non bastò a spegnere le voci, le ipotesi, le teorie alternative che parlavano di complotti e cospirazioni, come in uno spy movie senz’altro più affascinante, ma forse più lontano da una ricerca imparziale tesa a scoprire la verità. Insomma, per i più a sparare, quel 22 novembre del 1963, furono altre persone non identificate, sicuramente più di una.

Si puntò anche il dito contro Lindon Johnson, successore di JFK, che giurò nel giorno stesso dell’assassinio con accanto la vedova con il vestito ancora macchiato fresco di sangue, quel tailleur rosa confetto modello Chanel indossato da Jekie che ebbe un impatto enorme sulle tendenze dell’epoca.

Neppure la ricostruzione di quell’attentato che scosse il mondo intero, fatta usando quei 26 secondi, quei 486 silenziosi fotogrammi a colori, girati in 8mm con una telecamera portatile Bell + Howell, da Abraham Zapruder, un sarto di origine russa, diventato piccolo imprenditore tessile, convinse fino in fondo. Ognuno riusciva a vedere all’interno di quelle immagini che compongono uno dei film più visti nella storia, la propria verità. I fotogrammi che vennero resi noti fin da subito su Life, tranne il numero 313, quello in cui il proiettile aveva colpito la testa di JFK, anziché chiarire alimentarono dubbi e sospetti.

Il 22 novembre 1963 è una data che in pochi scorderanno. Negli Stati Uniti, apparsi per la prima volta improvvisamente «fragili».  Nella memoria di chi era abbastanza “grande” per rendersi conto di cosa stesse accedendo e nel ricordo di chi, invece, era troppo piccolo, ma ha comunque pianto per quella morte improvvisa di un uomo, di un Presidente. Prima di lui, Lincoln, Garfield e McKinley furono uccisi durante il loro mandato. Ma con Kennedy è diverso. Uno shock dal quale l’America – forse – non si è mai ripresa. Un dramma, il primo di una serie che hanno colpito una delle famiglie più potenti del mondo.

Anche i mass-media da quel giorno segnarono un primato: la diretta televisiva fu no-stop, durò quattro giorni, durante i quali nessuna emittente trasmise programmi di intrattenimento. La più lunga sequenza di notizie di sempre, imbattuta nonostante gli attentati alle Torri Gemelle e a Washington dell’11 settembre del 2001.

Nemmeno il mondo della moda restò indifferente: il tailleur rosa confetto modello Chanel indossato da Jackie Kennedy il giorno dell’assassinio del marito ebbe un impatto enorme sulle tendenze dell’epoca. «Lasciate che tutti vedano cosa hanno fatto» rispose lapidaria la first lady a chi, sull’air force, le suggeriva di cambiarsi d’abito.  Eppure, studiosi e ricercatori hanno potuto studiare i vestiti indossati dallo stesso Kennedy e l’arma usata dall’assassino, ma non il tailleur di Jaqueline, conservato negli Archivi nazionali, in un caveau a clima controllato fuori Washington. Protetto fino al 2063 o forse più.

Due sono le cose certe, da quel giorno i misteri che ruotavano attorno alla morte di John F. Kennedy sono diventati il carburante che negli anni ha contribuito a tenere vivo il ricordo di quel Presidente, che resta il più amato nello Stato a stelle e strisce non tanto per i meriti politici che è difficile giudicare in un mandato durato poco meno di 3 anni, 1.036 giorni per l’esattezza, quanto forse proprio per quell’attentato che oltre ad aver creato un mito ed alimentato la popolarità postuma mostrò per la prima volta un volto dell’America fino a quel momento rimasto lontano, quasi sconosciuto: quello dell’invulnerabilità. Un volto che tornò prepotentemente nella storia con l’attentato alle Torri Gemelle, dell’11 settembre 2001.

Due, forse non sapremo mai chi ha ucciso JFK.



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