
I giorni in cui il videogioco era da considerarsi una forma di intrattenimento dedicata soltanto ai più piccoli sono ormai molto lontani. Lo dimostra la sempre più grande mole di denaro che ogni anno viene investita nello sviluppo di nuovi titoli, nonché alla ricerca di nuove forme di monetizzazione e sfruttamento di quello che si è confermato un business sempre più florido e ancora pieno di possibilità di sfruttamento inesplorate.
La sua crescita dai primissimi esordi è stata infatti esponenziale.
Al giorno d’oggi sono moltissimi gli editori attivi, circa 20 tra i major (ma ai quali va sommata la miriade di sviluppatori indipendenti), che lavorano costantemente per svilupparne e commercializzarne di nuovi. Ad essi vanno inoltre aggiunti anche altri colossi della tecnologia che, se prima ne erano estranei, oggi hanno deciso di tuffarsi in questo mare ricco di pesci ancora da pescare: Microsoft prima di tutte, seguita poi da Amazon, Google e da quest’anno anche Apple.
Al 2019 i giocatori regolarmente attivi sono 2,5 miliardi, per un business complessivo di 152 miliardi (con un aumento annuale del 9,6%). Ma quali sono le ragioni di questa espansione?
Da un punto di vista di offerta lavorativa, le figure professionali che concorrono alla realizzazione di un videogioco sono moltissime e tutte altamente specializzate: da quelle più artistiche e culturali, a quelle grafiche, a quelle ingegneristiche e informatiche, a quelle manageriali e gestionali.
Il legame del videoludico con lo sviluppo della tecnologia umana lo rende un ramo dell’intrattenimento unico nel suo genere, in continuo miglioramento e con valori da offrire al fruitore sempre inediti e innovativi. Inoltre, il legame che chi ne fruisce instaura col videogioco è andato anch’esso approfondendosi, divenendo unico nel suo genere, poiché garantisce gradi di immersione che nessun altro ramo dell’entertainement forse potrà mai raggiungere. Non si tratta di una fruizione passiva, come può accadere ad esempio durante la visione di un film, ma una compartecipazione attiva al progredire dell’azione all’interno della storia.
È stato proprio quest’ultimo fattore a destare l’interesse della ricerca scientifica che, soprattutto nell’ultimo decennio, ha trovato nei videogiochi un fertile campo di ricerca.
Sono stati dimostrati i benefici che un utilizzo di alcuni videogiochi appositamente programmati possono avere sul piano della cognizione, soprattutto in casi di deficit, come può accadere ad esempio negli anziani: uno studio della dott.ssa Ana Torres, della University of Aveiro, ha provato la loro efficacia nel rallentamento del declino cognitivo, con risultante incremento della qualità della vita. Adam Gazzaley, della University of California, San Francisco, ha programmato un videogioco, NeuroRacer, per testarne i possibili benefici in termini di operatività cerebrale in alcuni pazienti, ovvero la loro capacità di gestire più operazioni anche difficilmente conciliabili contemporaneamente, rimanendovi focalizzati anche per un periodo lungo di tempo.
Allo stesso modo, altri studi hanno dimostrato che i giochi FPS in generale possono avere benefici dello stesso tipo, specialmente nell’incremento della cosiddetta attenzione spaziale, ovvero la capacità di focalizzarsi su un singolo elemento in un campo pieno di distrazioni, unitamente ad un miglioramento della flessibilità mentale, ovvero la capacità di spostare la nostra concentrazione da un’operazione all’altra velocemente e con precisione.
Tutte queste operazioni devono essere svolte in un periodo di tempo molto limitato, spesso in situazioni di forte tensione, che il giocatore deve saper gestire lucidamente ai fini di portare a termine i propri obbiettivi. Altro beneficio dimostrato è diretta conseguenza di questo fattore: la capacità di restare concentrati anche in situazioni di forte stress, ovvero una diminuita impulsività.
I videogame hanno al giorno d’oggi anche un impiego piuttosto diffuso in ambito più strettamente terapeutico. Interessanti i risvolti positivi nella terapia della dislessia: nei casi in cui essa sia dovuta a problemi di attenzione visiva, alcuni videogiochi mirati sono stati in grado di stimolare il superamento della difficoltà selettiva nella lettura, migliorando contemporaneamente le capacità di fonologia.
Altro caso interessante è quello della collaborazione tra Ubisoft e Amblyotech, che ha dato vita a Dig Rush, il primo gioco appositamente sviluppato per il trattamento dell’ambliopia.
È comunque importante specificare che quanto appena detto va contestualizzato. Sono stati infatti presi in considerazione soltanto i risvolti positivi derivanti dall’uso di alcuni videogiochi, ma ciò non significa che un eventuale abuso non porti con sé alcun rischio.
Non va infatti trascurato l’altro lato della medaglia: è in gran crescita, soprattutto tra le nuove generazioni, il numero di casi di dipendenza da videogioco. Essa va considerata alla stregua della dipendenza legata al gioco d’azzardo: è in grado di modificare la struttura cerebrale dell’individuo e, quindi, il suo comportamento.
Il mondo del videogioco non ha ancora finito di esprimere tutte le sue potenzialità, sia in termini di intrattenimento in sé, sia nelle sue applicazioni terapeutiche e nella risoluzione di deficit della cognizione. Tuttavia, chi ne fruisce deve sempre guardarsi dai potenziali danni e problematiche provenienti da un eventuale abuso.