«Ieri pomeriggio mi ha chiamato la Asl dicendomi che dovevo prolungare la quarantena perché altri colleghi sono risultati positivi. Ti preoccupi…Ti viene normale pensare: chi sono le colleghe che hanno contratto il virus? La paura è tanta.. ma soprattutto speri che quel luogo di lavoro non sia stato un focolaio. Dove lavoro? Lavoro in un call center!».
La segnalazione che ci giunge più che una considerazione dolorosa è un grido di paura. La paura di una donna che fino al 13 marzo ha lavorato nel suo call center fino a quando non è stato chiuso.
Erano stati tra i primi quei lavoratori a chiedere più protezione, dal momento che risultava difficile rispettare la distanza di sicurezza tra gli operatori e soprattutto diventava complicato agire quando ci si scambiava la stessa cuffia e lo stesso microfono con il collega del turno precedente.
«Il 13marzo comunicano la chiusura del call center (forse siamo 100 o più). Hanno chiuso appena hanno saputo tramite un post di Facebook di un caso sospetto (che poi è stato confermato positivo al coronavirus). Iniziamo la nostra quarantena con la speranza di non aver sintomi fino a ieri quando ci dicono che i casi erano di più e la quarantena doveva proseguire».
La paura della lavoratrice è che siano stati i primi giorni di marzo quelli incriminati ai fini del contagio, giorni in cui tutti i lavoratori erano armati di alcol e amuchina e provavano anche a rispettare il divieto di stare seduti vicini, ma forse non è bastato.
«Per carità, i responsabili ci hanno fatto sedere a distanza di un metro l’uno dall’altro, ma ho paura che non sia servito e soprattutto temo, a quanto sento, che il periodo di incubazione sia superiore alle due settimane e quindi il mio personale timore è che il danno sia più grave di quanto pensiamo…».
E la considerazione giunge nel giorno in cui si registra un primo caso di coronavirus nella cittadina di Castri di Lecce e la persona che l’ha contratto è proprio una lavoratrice in un call center.
Amare le considerazioni finali della lavoratrice che riflette sulla precarietà del suo mestiere: «Sono giorni duri ora, c’è il virus in giro..Rimanete a casa!Nei giorni scorsi noi siamo andati a lavorare per guadagnare, nei call center abbiamo un contratto senza diritti, se ti ammali resti a casa e non sei pagata. Questa è la verità, anche dinanzi ad una pandemia così tremenda!»
