‘Coronavirus, nei call center si lavora senza distanza di sicurezza’, il grido d’allarme dei lavoratori

Grido di allarme di un gruppo di dipendenti che lavorano in call center salentino: ‘Qui funziona tutto come prima, come se nulla fosse’. E chiamano Carabinieri e Asl

Abbiamo raccontato in questi giorni le preoccupazioni dei lavoratori che più di altri sono esposti al contagio da coronavirus. Abbiamo descritto certamente l’eroismo ma anche le legittime apprensioni di medici, infermieri, oss, personale sanitario a tutti i livelli, farmacisti e forze dell’ordine. Eppure non mancano certo tanti altri lavoratori che in questi giorni stanno vivendo momenti difficili, come il personale degli uffici pubblici e delle attività commerciali. Ma mancava all’appello una categoria che oggi ha scelto leccenews24.it per far giungere a tutti, in maniera particolare a chi di dovere, la propria situazione a rischio. Stiamo parlando delle tante donne e dei tanti uomini che lavorano nei call center, nuova frontiera dell’occupazione di questi anni. Ci contatta uno di loro, seriamente preoccupato, garantendoci che chiamerà immediatamente Carabinieri e Asl.

«Lavoro in un call center, siamo in tanti nello spazio in cui operiamo telefonicamente. Siamo ammassati uno sull’altro, tutti a stretto, strettissimo contatto, a distanza di pochi centimetri. Ci hanno dato un disinfettante spray e un rotolo di scottex che ci passiamo l’uno con l’altro. Io ho portato da casa il lisoform e le salviettine. Ma non mi sento sicuro. In postazione usiamo tutti le stesse cuffie con il microfono; si badi bene non è che ognuno ha la sua cuffia. Ce le passiamo al cambio del turno, sono le stesse che hanno utilizzato i colleghi la sera prima o la mattina e poi se le ritrovano quelli del turno di pomeriggio».

I rischi da contagio, dice il lavoratore salentino a nome di tutti i colleghi sono dovuti anche al fatto che nel momento della pausa, nella sala break si raggiungono occasioni di vicinanza che con il tanto famigerato distanziamento sociale non hanno nulla a che vedere. Se si pensa che molti di questi lavoratori provengono dai comuni che hanno accertato casi di coronavirus, le paure aumentano esponenzialmente.

«Nell’aula break dicono che si può stare in pochi ma in realtà si è sempre di più. Non c’è nessuno che controlla. Ci sono colleghi che vengono da Aradeo, Galatina, Taranto, Melendugno, Brindisi. Eppure non si chiude. Come possiamo fare? Possibile che nessuno intervenga? Si chiude tutto e i call center non possono chiudere momentaneamente? Io devo andare a lavorare perchè se non lavoro non guadagno, questo è il mio contratto, questo prevede il mio contratto. Perché il Governo non è chiaro anche su queste situazioni? Possibile che nessuno intervenga?  Abbiamo chiamato i Vigili Urbani e non rispondono perché chissà che cosa stanno passando anche loro. E noi? Noi cosa possiamo fare? Per favore intervenite!».

Un grido di aiuto insomma che deve essere ascoltato. Conosciuto e ascoltato. Stiamo vivendo giorni critici, dinanzi a situazioni alle quali non eravamo abituati e dobbiamo organizzarci. Lo dobbiamo fare tutti, però. Perché tutti hanno il diritto alla salute ed anche il dovere di non procurare danno agli altri!



In questo articolo: