Nardò, chiuso il centro per la fecondazione assistita: negato il diritto alla sanità pubblica alle coppie salentine

Il centro è stato chiuso lo scorso marzo, in favore di un trasferimento presso il Dea di Lecce, ad oggi, ancora non avvenuto. E le coppie che desiderano un figlio sono disorientate.

Il Coronavirus non ha solo stravolto le abitudini degli italiani, costringendoli a ‘combattere’ un nemico invisibile con le sole armi a disposizione delle mascherine e del distanziamento sociale. La pandemia, con cui ancora il Paese sta facendo i conti, ha colpito il sistema sanitario, mettendolo a dura prova. Non ci sono solo i pazienti Covid da curare, in alcuni casi da salvare in una lotta contro il tempo. Ci sono anche le prestazioni sanitarie messe in stand-by per dedicarsi alla battaglia contro il virus. A pagare sono quelle ritenute “non necessarie”. Visite di controllo annullate, interventi programmati o semplici esami di routine saltati si trasformano in disagi per i cittadini.

È il caso, ad esempio, della procreazione medicalmente assistita, un cammino difficile per una coppia che desidera avere un figlio. Ma alcune famiglie salentine sono rimaste sole non solo perché non hanno potuto accedere ai percorsi perché non rientravano nell’elenco delle cure urgenti messo nero su bianco dal Ministero della Salute. C’è da mettere in conto anche la chiusura del Centro Pma (Procreazione medicalmente assistita) di Nardò. Un punto di riferimento, fino al marzo scorso, essendo l’unico pubblico in provincia di Lecce.

Il 2 marzo, con la delibera della Giunta Regionale n.276, per molte coppie la strada, già in salita, incontra un ostacolo che, almeno per il momento, sembra insormontabile. A partire da quel momento, sono state revocate le autorizzazioni al Centro dell’ex Ospedale Giuseppe Sambiasi che segue circa 600 coppie all’anno, con una lunga lista d’attesa. Doveva essere trasferito al Dea di Lecce, ma è qui che le cose si complicano: a 9 mesi dalla delibera, il trasferimento non è stato completato.

Un diritto negato

Certo, le alternative ci sono: rivolgersi al privato o ai centri pubblici di altre province, come quelli di Conversano o di Taranto, ma il problema è un altro: è giusto che le coppie salentine debbano essere costrette ad andare altrove, affondando altre spese e ulteriori sacrifici? E se lo stop, con l’emergenza in corso e i tempi di attesa, lunghissimi, si trasformasse in una perdita di opportunità considerando anche il limite di età per accedere al percorso per diventare genitori?

Tantissime le segnalazioni giunte in redazione di donne che lamentano non solo la sospensione, di fatto, del servizio, ma anche un trattamento “indelicato” da parte della Asl di Lecce che sottolinea come “il percorso di genitorialità non è stato interrotto per chi lo aveva già avviato e che chi ha desiderio di intraprenderlo affronterà i trattamenti previsti nel PO Vito Fazzi di Lecce appena il trasferimento sarà ultimato”. Ma quando? Questo chiedono. Date, piccoli scogli a cui aggrapparsi per progettare un futuro che è tutto da scrivere. E luoghi: a Nardò, in quella che era considerata una struttura d’eccellenza come a Lecce purché non venga interrotto il servizio. Solo questo. Dare a chi ora è disorientato dei punti di riferimento.

A completare il quadro, già complicato, il mancato inserimento della procreazione medicalmente assistita nei Livelli essenziali di assistenza: alle coppie che intraprenderanno questo percorso, infatti, toccherà pagare un maxi-ticket



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