Condominio a luci rosse, ecco cosa fare quando le lucciole esercitano nel nostro palazzo

E’ sempre più diffuso un fenomeno che desta preoccupazione in molti condòmini che lamentano la presenza di ‘servizi sessuali a pagamento’ ovvero prostituzione all’interno del proprio edificio. I consigli dell’Associazione Liberi Amministratori Condominiali.

Cosa fanno i condomini appena vengono a conoscenza che in un appartamento del proprio stabile una o più signore esercitano il meretricio, ovvero si prostituiscono? Semplice, in prima istanza si fa subito ricorso all’amministratore, il quale, in merito, ha davvero pochi poteri.
 
La legge, difatti, punisce lo sfruttamento ed il favoreggiamento alla prostituzione, ma non la prostituzione in quanto tale, e quindi l’amministratore potrà eventualmente trovare un appiglio soltanto nelle clausole contenute nel regolamento condominiale specialmente se trattasi di regolamento di natura contrattuale (per intendersi quello predisposto dall’originario costruttore ed accettato dagli acquirenti dei singoli appartamenti, o approvato dalla totalità dei componenti il condominio) che può essere fonte di limitazioni, generali o particolari, per i singoli partecipanti relativamente all’utilizzo delle unità immobiliari di proprietà esclusiva.
 
L’amministratore, pertanto, potrebbe far valere quelle formule di stile quali “turbamento della quiete, della tranquillità dei condomini, contrarietà all’igiene, alla signorilità ed al decoro dell’edificio” e pensare di raggiungere in tal modo la prova dell’esistenza di un condominio “a luci rosse”, con il via vai di gente poco raccomandabile, schiamazzi notturni e risse.
 
Qualora l’attività venga svolta da un conduttore, sarà opportuno interfacciarsi anche con il condòmino-proprietario, in modo da comprendere se questi sia al corrente della situazione, atteso che in caso positivo, potrebbe essere coinvolto nelle eventuali indagini di polizia ed essere indagato come soggetto che ha favorito lo sfruttamento della prostituzione.
 
In ogni caso, sarà poi il proprietario, che venuto a conoscenza dei fatti, potrà eventualmente allontanare il conduttore non rinnovando il contratto ad esempio, ma se il conduttore che esercita l’attività di meretricio paga regolarmente sia il condominio sia i canoni di locazione e non c’è alcuna responsabilità del proprietario, di certo quest’ultimo non commette alcun reato e poichè non vive in quello stabile, non avrà gli stessi problemi che invece subiscono i condòmini che ivi risiedono stabilmente.
 
Di certo non potrà essere l’assemblea di condominio a deliberare a maggioranza di allontanare un conduttore o a vietare che il proprietario affitti a terzi la propria unità.
 
Ultimamente, però, si sta facendo strada tra i condòmini più perseveranti un’altra possibile soluzione per raggiungere lo scopo prefissato: rivolgersi alla Finanza. Di fatto viene attuata quella che in economia viene definita una minaccia credibile: si comunica alla persona interessata che se non intende porre fine alla sua attività o se non decide di andarsene verrà denunciata per evasione fiscale. Questa minaccia, nella maggior parte dei casi sortisce l'effetto voluto, e così "l'indesiderata presenza" lascia l'appartemento.
 
La tassabilità degli introiti scaturiti da attività di meretricio balza periodicamente all'attenzione dell'opinione pubblica, vuoi per la necesità di rimpinguare le casse della cosa pubblica, vuoi per risollevare le sorti dell'economia flaggellata dalla crisi.
 
È opportuno ricordare per nostra memoria, che per il diritto italiano la prostituzione continua ad essere lecita e, pertanto, in virtù di tale principio, chiunque è libero di offrire le proprie prestazioni sessuali in cambio di un corrispettivo, sia esso in denaro o in altra utilità suscettibile di valutazione economica. Ad essere illecito, invece, è lo sfruttamento ed il favoreggiamento della prostituzione ex art. 3 L. 75/1958 (la c.d. Legge Merlin).
 
Ora, se il diritto penale disciplina il fenomeno in maniera precisa, altrettando non avviene in materia tributaria, generando una problematica di non poco conto. L'art. 53 della Costituzione Italiana sancisce, infatti, che "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. […]"   

Il rispetto di tale principio è fondamentale, in quanto sta a fondamento della progressività della tassazione del reddito, oltre ad avere il precipuo scopo di impedire l'attuazione di comportamenti elusivi.
 
Il punto focale è  comprendere se tali introiti possano essere inquadrati come forme reddituali. È incontestabile che le meretrici offrono un servizio. Ciò che rileva, però, è che la prestazione fornita da una prostituta può essere tranquillamente inquadrata nel negozio giuridico della prestazione di un servizio e, pertanto, il compenso scaturente risulta essere definito come vero e proprio reddito.
 
 La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che essendo lecita l'attività di prostituzione, i guadagni da essa scaturenti sono equiparati ai guadagni derivanti da tutte le altre attività economiche e, pertanto, sono tassabili a tutti gli effetti. Nel contempo, però, non definisce in quale categoria reddituale debbano essere inquadrate tali prestazioni.
 
  A parere di chi scrive queste sono ravvisabili come attività esercitate da parte di un lavoratore autonomo, cui sono correlati i corrispondenti adempimenti fiscali. Fin qui tutto bene. O per lo meno apparentemente.
 
 Come detto, sebbene il mercimonio del proprio corpo non sia illegale, le prostitute non "esistono" in quanto categoria professionale. Di fatto i proventi derivanti da esercizio della prostituzione non sono tassabili perchè non ascrivibili a nessuna categoria di reddito di cui all'art. 6 del T.U.I.R. E questo è un problema, in quanto impedisce loro di mettersi in regola.
 
 Da questa lacuna scaturiscono conseguenze fiscali di particolare rilevanza, in quanto il possesso di immobili o di altri beni che richiedono manifestazione di capacità reddituale fanno scattare l'accertamento induttivo da parte dell'Agenzia delle Entrate, cui deve sommarsi l'omessa dichiarazione.
 
Insomma sbaglia, infatti, chi ritiene che tali redditi non debbano essere tassati perchè non riconosciuta la categoria professionale. 
 
Dott.ssa Maria Rosaria Monsellato                                     
Consulente fiscale  ALAC APPC sede di Lecce